"Adoro Londra e i suoi sexy shop ma non l’ho mai data per la carriera", di Barbara Romano, Libero, 16/11/2008, pag. 18, 16 novembre 2008
Da un articolo di Barbara Romano di Libero su Lilli Gruber - "Sicuramente io mi identifico con le streghette moderne: le donne che difendono la loro autonomia, la loro libertà, il loro diritto allo studio e alla carriera, ad avere tutto
Da un articolo di Barbara Romano di Libero su Lilli Gruber - "Sicuramente io mi identifico con le streghette moderne: le donne che difendono la loro autonomia, la loro libertà, il loro diritto allo studio e alla carriera, ad avere tutto. E’ una sfida difficilissima e per riuscirci devi essere un po’ strega". La strega Dietlinde. "E’ un antico nome germanico, il mio. Tra l’altro, nessuno mi ha mai chiamato così. Ogni tanto chiedo alla mia mamma come mai mi abbia dato questo nome. Sua zia, tante Auguste, che era una germanista, le suggerì dei nomi, credo ispirati alla saga dei Nibelunghi: mia sorella su chiama Friederike, mio fratello Winfried. Dietlinde vuol dire "colei che guida i popoli". Io ho condotto solo i tg. Ma fin da piccole, io e mia sorella eravamo Miki e Lilli". Che tipo era Lilli da bambina? "Curiosissima. Ho avuto un rapporto molto stretto con mio padre. Tutti e tre siamo stati allevati con un’educazione austroungarica. A scuola dovevamo essere bravi, durante l’anno non potevamo leggere i fumetti, la televisione si guardava fino al carosello". Proibito uscire da adolescente? "In questo sono stata avvantaggiata perché ero la più piccola. E’ stata mia sorella a fare da rompighiaccio". Una volta in cui l’ha fatta proprio grossa? "A quattro anni e mezzo sono scappata di casa. Era il tempo dei primi sequstri e a mia madre per poco non venne un colpo. Quando mi ritrovarono dopo un’ora dissi che ero andata a comprare la "nane", la banana. Le presi di santa ragione". Quando la colse il sacro fuoco del giornalismo? "Già alle elementari la mia mitica suor Rosita mi diceva che scrivevo bene. Sapevo di voler fare un lavoro creativo, ma che avesse un impatto sociale. Ho avuto anche fortuna. Se non fossi capitata negli anni in cui in Italia si aprì il mercato dell’informazione con la nascita delle tv private, non so se ci sarei riuscita. Venendo da una famiglia così severa, non sarei mai andata da un partito politico per essere assunta in Rai". E’ sempre riuscita a conciliare la carriera con gli affari di cuore? "Il nostro è un lavoro che richiede più flessibilità nella gestione dei rapporti affettivi. In questo la mia vita affettiva è piuttosto contemporanea. I giovani europei oggi fanno la vita che faccio io da tanti anni. Il pendolarismo da un Paese all’altro è molto più diffuso di quanto non si pensi. Certo, a volte è difficile, hai bisogno di un grande amore, sennò non lo fai". Lei lo ha trovato al fronte. Galeotta fu la guerra in Iraq... "Sì, io e Jacques ci siamo incontrati la prima volta nel 91 a Baghdad, però non eravamo liberi né io né lui". Cosa la colpì di lui? "La sua solarità, il fatto che sia un uomo divertente, che sdrammatizza sempre. Tra l’altro, è un bravissimo inviato di guerrra, ho imparato moltissimo da lui. Mi è piaciuto forse anche perché non mi ha mai presa troppo sul serio". Ma che cosa l’ha fatta innamorare veramente? "Tutte queste cose, insieme al fatto che è un uomo poco tradizionale: a 18 anni è andato a studiare in America e non è mai stato abituato a una donna che si occupasse del sugo o dei calzini. Credo che l’incontro tra due personalità forti ma anche molto autonome abbia fatto sì non solo che scoppiasse un grande amore, ma che durasse nel tempo".