Garrone, petrolieri fuori dal coro di Paolo Madron, Il Sole 24 Ore, 16/11/2008, 16 novembre 2008
Garrone, petrolieri fuori dal coro - Uno arriva a Genova passando per gli stretti pertugi dell’Appennino Ligure, e nonostante davanti si apra la vista del mare e del porto gli sembra impossibile che lì, in quei terreni diroccati e angusti, abbiano potuto sorgere delle raffinerie
Garrone, petrolieri fuori dal coro - Uno arriva a Genova passando per gli stretti pertugi dell’Appennino Ligure, e nonostante davanti si apra la vista del mare e del porto gli sembra impossibile che lì, in quei terreni diroccati e angusti, abbiano potuto sorgere delle raffinerie. O ci siano state famiglie, come i Garrone, che abbiano temerariamente pensato di impiantarle. Ma la voglia d’impresa spesso sfida l’impervia geografia dei luoghi, e così ha potuto nascere la Erg (acronimo di Edoardo Raffinerie Garrone) che quest’anno ha compiuto settant’anni e li celebra con un libro che ne ricostruisce la storia in una sorta di viaggio a ritroso, dove l’analisi industriale si mischia alla memorialistica. Ne parlano gli eredi del fondatore Edoardo, ovvero Riccardo e suo figlio Edoardo, in quest’intervista a due (segno di un riuscito passaggio generazionale) dove però anche il presente fa la sua parte. Riccardo, classe 1936, che è appena stato eletto presidente onorario dell’azienda, ha guidato la Erg per oltre quarant’anni, fino al 2002, prima di lasciar spazio a Edoardo e Alessandro, che si sono divisi i compiti: il primo presidente, il secondo amministratore delegato della Erg versione terza generazione. -Chi legge la vostra storia scopre con sorpresa che voi Garrone non siete petrolieri per vocazione. Riccardo (R.). Questo libro sulla nostra storia è stata anche per noi l’occasione di scoprirlo. In effetti, quando ero all’università, mio padre, laureato in chimica industriale, mi aveva accennato di un’esperienza di lavoro in un laboratorio di zuccherifici a Zurigo. Nel ”36 poi aveva fatto una società con un banchiere di Genova, Alessandro Cerreti, ma litigarono. Dai cassetti di famiglia sono uscite 50 lettere a mia madre. In una diceva: «Volevo iscrivermi a medicina, ma ho scelto chimica. Così faccio prima e ci sposiamo». -Poi invece arrivò al petrolio, anche se a un certo punto voleva mollare e vendere tutto. R. Era nel 1962, un anno prima di morire. Lo preoccupava l’arrivoin zona di due raffinerie, una dell’Eni e una dei Moratti. Pensava che la concorrenza lo avrebbe strangolato, perciò iniziò a trattare la vendita dell’azienda con BP, con cui avevamo rapporti privilegiati da ormai dieci anni. -E com’è che invece cambiò idea? R. Costruì ad Arquata Scrivia un deposito da collegare alla raffineria di Genova. Un impianto necessario per mantenere al massimo la sua capacità produttiva, che era stata raddoppiata fino a 5 milioni di tonnellate. Credette nel progetto e non volle più vendere. -Il fatto che fosse arrivata l’Eni a farvi concorrenza vuol dire che suo padre non aveva buoni rapporti con Enrico Mattei? R. Inizialmente erano buoni. Facevano fronte comune contro la Esso presieduta da Vincenzo Cazzaniga, che era il principale antagonista. Poi Mattei decise di costruire a Genova, e lì entrò in collisione co nmio padre. -Come finì? R. Che fecero pace. Fu quando Esso e Eni costruirono due raffinerie a Livorno e Bari su tecnologia Esso, la stessa che mio padre aveva deciso di usare a Genova. Solo che non funzionavano e lui offrì a Mattei e Cazzaniga la possibilità di mandare i nostri operatori per aiutarli. Grande mossa diplomatica. - Sbaglio, o il problema del petrolio non è tanto raffinarlo, quanto trasportarlo. R. Di sicuro il trasporto costituiva il motivo di maggior attrito tra produttori. Quando mio padre, visto lo spazio angusto della raffineria di Bolzaneto, progettò oleodotti per poter un giorno trasportare petrolio grezzo dal mare a una raffineria oltre l’Appennino, ci saltarono tutti addosso. - Perché i petrolieri sono sempre così poco amati, se non quando sono presidenti di squadre di calcio? Solo i banchieri oggi sono visti peggio di voi. R. Nell’immaginario collettivo sono vissuti come personaggi che si arricchiscono enormemente. E poi è facile attaccarli per l’aspetto non piacevole degli impianti. Edoardo (E.). Aggiungerei che in passato alcuni cosiddetti petrolieri hanno dato cattivi esempi. Non sulla parte ambientale ma su quella fiscale, tanto per essere chiari. - Le lettere di suo padre a sua madre sono state trovate nella casa dei cugini Profumo. Niente a che fare con l’amministratore delegato di UniCredit? R. Come no. Il mio bisnonno e quello di Alessandro Profumo erano fratelli. Perciò siamo lontani parenti. Adesso che ci penso, una volta gli ho anche regalato l’albero genealogico. - Mi tolga una curiosità. Come mai la San Quirico, la vostra holding di famiglia, ha adottato il duale, un sistema di governance che quando è nato era già fuorimoda? R. Per forza, quando hai come certe banche Consigli di sorveglianza con 25 persone… E. La logica è diversa. San Quirico aveva sede in Lussemburgo, ma con l’introduzione del nuovo diritto societario e diventando di diritto italiano ha adottato il sistema duale. Ci eravamo appena quotati allo Star, e lo introducemmo per rafforzare il ruolo del Consiglio di sorveglianza, che in pratica è un comitato ristretto degli azionisti, rispetto ai manager che siedono nel comitato di gestione. - A proposito di quotazione. vero che con questi chiari di luna in borsa state pensando al delisting? E.Premesso che non viviamo attaccati al monitor per vedere come va il titolo, è una delle opzioni possibili. Noi siamo andati in borsa nel ”96, con un prezzo, 6mila lire, che stava nella parte bassa della forchetta… - A differenza di altri vostri colleghi che hanno scelto di stare sulla parte alta... E. Questo lo dice lei. Anche se per dare un giudizio basta vedere i track record dei titoli da quando si sono quotati. Dal collocamento, il titolo Erg ha seguito un trend positivo, salvo i primi anni in cui è rimasto basso, forse perché eravamo atipici rispetto alle società petrolifere. -Non ho capito se uscirete dalla Borsa o meno. E. Oggi c’è un calo di fiducia generalizzato sulle sorti dell’economia, e molti settori sono penalizzati ben oltre i fondamentali delle aziende. Che la famiglia possa investire ulteriormente su se stessa è una delle opzioni strategiche. -In tempi non sospetti suo fratello Alessandro aveva previsto il petrolio a 60 euro. Sfera di cristallo? R. Era mentre JP Morgan parlava di 200 dollari… E.Nel nostro settore è più facile fare previsioni sul medio-lungo termine che sul breve. Abbiamo stimato 70/80 perché i nuovi investimenti nell’esplorazione sono fatti con un ritorno calcolato su quel prezzo, al netto delle speculazioni finanziarie. -Quanto costerà il petrolio di qui a 3 anni? E.Sarà sempre nella forchetta tra 60 e 80 dollari. Potrebbe anche andare sotto, ma non dimentichiamoci che l’Opec è ancora un attore forte nella determinazione del prezzo. -Magari dico una sciocchezza, ma il petroliere contiene in sé l’antipetroliere, almeno quando, come voi, investe anche in energie rinnovabili. E. esattamente così. R.Attenzione però a non celebrare anzitempo la fine del petrolio. Sarà da petrolio, gas e carbone che verrà per i prossimi 20-30 anni almeno il 70% dei fabbisogni energetici, perché il costo delle rinnovabili è molto elevato. E. Gli investimenti nelle rinnovabili crescono con i prezzi di petrolio e gas alti. Se calano i secondi calano anche i primi. Paradossalmente, gli investimenti che vanno verso la salvaguardia dell’ambiente stanno in piedi a condizione che petrolio e gas non scendano troppo. - Siete una famiglia indicata a esempio di riuscito passaggio generazionale. Un passaggio avvenuto con il padre ancora giovane. R. Sono stato capo azienda per 40 anni, e molte cose sono cambiate sia per la dimensione raggiunta che la diversificazione. Sentendomi un po’ old style nella gestione, mi sembrava giusto passare la mano a figli e nipoti. E. Ma ci consultiamo sempre, perché le cose bisogna gestirle giorno per giorno. Siamo riusciti per una serie di motivi a tenere distinti i ruoli in azienda, che va salvaguardata sempre e comunque, dagli interessi familiari. - Voi passate per dei petrolieri di sinistra. perché siete nati e operate in una città non si sa ancora per quanto tradizionalmente rossa? R. Nella mia storia raramente ho avuto rapporti con i politici, tranne che nello scandalo del ”74 quando tutti i petrolieri finanziavano l’allora pentapartito. Noi avevamo una piccola quota ma tutto finì in una bolla di sapone. Fummo imputati di corruzione, in realtà era un altro reato che comincia con la c. Certo non siamo di destra. E. Ma nemmeno di sinistra. Abbiamo sempre cercato di avere rapporti con le amministrazioni competenti. Io sono un liberale. - Dicono però che aborrite il berlusconismo. E. Aborriamo un sistema in cui se osi dire una parola di non condivisione rispetto a chi governa automaticamente diventi comunista o fascista. Io esprimo quello che penso a prescindere da chi mi trovo di fronte. -E la storia del petroliere rosso? E. Nel 2001, in un convegno dei Giovani imprenditori di cui ero presidente, sono uscito in modo un po’ provocatorio con affermazioni che qualcuno ha definito da no globalo petroliere rosso. Questo semplicemente perché avevo parlato di temi che sarebbero diventati strategici nel futuro: riscaldamento globale, il 20-20-20, Kyoto. R.Sono stato presidente degli industriali di Genova dall’83 all’86, uno dei periodi più neri dell’economia della città. E in quella veste feci delle battaglie contro la giunta di Fulvio Cerofolini, che a volte mettevano a disagio anche il comitato di presidenza. - Litigò anche con Bettino Craxi. R. Fu dopo che Craxi nominò Roberto D’Alessandro a presidente del porto. Proposi con gran clamore le dimissioni dell’intero comitato di presidenza dell’Associazione industriali. Ma dieci anni dopo mi trovai in disaccordo anche con la giunta Pericu, nella mia seconda volta da capo degli Industriali. - Sembrava anche dovesse candidarsi a sindaco. R. L’unica volta che mi sono candidato fu al Senato per i Repubblicani nelle elezioni del ”92. Non passai per 3mila voti. Ma nel mio collegio avevo contro Guido Carli e Fernanda Contri. - Dalle elezioni politiche a quelle di categoria. Il vostro candidato alla guida degli industriali genovesi, Vittorio Malacalza, è stato sonoramente sconfitto. E. Io sono vicepresidente agli Interni di Confindustria e sul tema non posso dire niente. - Ma suo padre invece... R. Veramente io facevo parte dei saggi, e sono vincolato.Mi auguro tanto che Giovanni Calvini faccia bene. Ciò non toglie che il 70% della base associativa voleva un candidato, e la Giunta invece ne ha eletto un altro. -Che cosa dicono della città quelli come voi che "sono nati a Genova"? R.Una città incapace di definire in modo strategico il suo futuro. Troppi conflitti e contraddizioni. Per esempio: da una parte c’è il Porto, un’attività fondamentale per tutto il Nord-Ovest, dove la carenza d’infrastrutture per movimentare le merci genera un flusso che rischia di soffocare la città. La ricchezza ormai viene generata da molte aziende che stanno nell’entroterra. E.Genova è una città che non riesce a definire una sua identità, in base alla quale fare delle scelte. Si vive alla giornata, non c’è uno spirito dinamico. Per fare qualcosa si litiga anni e non si decide mai. -A proposito di litigi. Vi siete arrabbiati anche con Beppe Grillo? R. Haun po’ esagerato. La Erg lo ha citato per danni e anch’io personalmente. Quando la satira diventa insulto... -Siete stati sempre una famiglia lontana dai salotti buoni, refrattari al capitalismo di relazione... R.Siamo industriali puri, abbiamo rispetto dei salotti buoni della finanza, ma non abbiamo ragione di parteciparvi. -Non vi hanno mai chiesto niente? E. No, probabilmente perché sanno già quale sarebbe la risposta. Noi gli investimenti li facciamo nel nostro settore. -Mi date un giudizio su un tema di moda, le banche? R.Sono un banchiere, presiedo un piccolo istituto, la Banca di San Giorgio… E. Abbiamo salutato tutti con soddisfazione il fatto che con il nuovo Governatore di Bankitalia si sia data una spinta alle banche italiane perché si aggregassero. Per far questo le banche hanno fatto investimenti e adesso, dato lo scenario, si trovano in difficoltà. Comunque credo che quanto deciso allora sia giusto, e che gli istituti italiani siano molto migliorati rispetto al passato. -Da un esponente di Confindustria un riconoscimento che fa notizia E. Un conto è dire che storicamente ci sono problemi delle piccole imprese col sistema bancario, un conto che le nostre banche hanno sbagliato strategie e sono cresciute male facendo finanza per la finanza, cosa non vera. -Siete per l’intervento dello Stato o vi fa orrore l’idea? E. In un momento critico per la fiducia è giusto prendere misure eccezionali per salvaguardare il sistema creditizio. Ma per un Paese come l’Italia sarebbe pericolosissimo il modello inglese. Il rischio che un ingresso dello Stato nel capitale delle banche porti a una statalizzazione permanente del sistema non dobbiamo correrla. R. Per adesso mi pare però che a soffrire siano le piccole imprese. Ho letto che il 70% soffre di restrizioni del credito. Mi sembra tanto. E. I dati confindustriali dicono qualcosa di diverso. In generale le imprese che stanno soffrendo di una restrizione del credito sono una minoranza. Il problema è che le banche oggi sono molto più selettive, questo è il dato che si registra. Insieme a un leggero aumento dei costi. -Dimenticavo che siete anche editori del Corriere Mercantile. Non vi andava bene il Secolo XIX? E. Con tutto rispetto per il Mercantile i valori in gioco sono un po’ diversi. Siamo entrati come famiglia nel Mercantile insieme a Malacalza perché abbiamo ritenuto giusto che il giornale, per la sua storia e la sua collocazione, e per la sua indipendenza, dovesse essere rafforzato e che nel suo piccolo sia un valore della città. R. Io ho cercato di assimilare e trasferire ai miei figli i valori che mi aveva trasmesso mio padre. Però in due cose l’ho tradito. Lui mi diceva: mai investire in calcio e giornali. -A proposito, come va la Sampdoria? R. Abbiamo stentato all’inizio ma adesso bene, siamo andati tre volte in coppa Uefa. -Non so se sia una cattiveria, ma si dice che suo figlio Alessandro sia genoano. R. La moglie di Alessandro è genoana, e sua figlia ancora dipiù. E. La verità è che mio fratello non ama il calcio, non gli importa nulla. Invece mio cugino Giovanni Mondini, che è vice presidente della Erg, è supergenoano. -Ma è business o passione? E. Passione, ma anche un grande impegno economico. L’azienda calcio in Italia vista come settore dal punto dei vista dei numeri è una follia. Ma noi siamo molto oculati nella gestione. R. Cairo, De Laurentiis e DellaValle grazie al lodo Petrucci sono partiti da zero, con una nuova società pulita dai debiti. Noi invece abbiamo dovuto assorbire un bucodi 50 milioni. -Quando giocano Sampdoria e Inter con Moratti vi salutate? R. Per la verità qui a Marassi non è mai venuto, manda sempre la sorella. - E quella foto con Gheddafi che tiene sulla libreria? E. Da un paio d’anni stiamo lavorando con la Libia per fare un accordo per Tamoil. -Difficile il personaggio... R. Ma affascinante, cordiale, è uno che sta a sentire. Ci ha detto: vedete quante poche merci italiane ci sono? Ce ne potrebbero essere molte di più se il vostro Governo di convincesse a chiudere l’intesa sui danni di guerra. -E lei? R. Sono tornato e l’ho riferito a Gianni Letta. E lui mi ha detto: «Garrone, anche lei!». Però, visto gli accordi successivi, si vede che l’insistenza ha avuto buon gioco.