Bruno Ventavoli, La Stampa 16/11/2008, 16 novembre 2008
Tu mi fai vestir come fossi una Barbie. Non è una parodia antifemminista, né un gioco hard per scambisti
Tu mi fai vestir come fossi una Barbie. Non è una parodia antifemminista, né un gioco hard per scambisti. Ma l’ultima frontiera della moda infantile. Per lo meno in Argentina. Perché a Buenos Aires, scrive l’«Independent», apre il primo negozio mondiale per abbigliarsi come la celebre bambola inventata da Mattel cinquant’anni fa. Le bambine (ma non è vietato alle mamme temerarie) potranno acquistare nello store da 650 metri quadrati tutto il necessario per travestirsi come il piccolo trastullo di plastica e sedurre gli - ovviamente - imbambolati compagni di banco. Si vendono barbie-vestiti, barbie-orologi, barbie-occhiali, barbie-pettinature. Quello argentino, è un esperimento. Se funzionerà, ne verranno aperti ovunque nel pianeta globalizzato. Festicciole a tema «Il negozio per vere Barbie - dice il proprietario, Tito Loizeau - è un posto dove le piccole si sentono più grandi e dove le madri tornano piccole». Ma non c’è nulla di proustiano, la bottega aspira a diventare tendenza lolitesca, come l’ombelico scoperto. Dietro lo show room è stata allestita anche una «Casa Barbie», dove si possono organizzare festicciole. Sono previste macchinine per intrattenere i fratellini riottosi che non hanno intenzione di fare i bambolotti. Barbie, in Argentina, va fortissimo. In uno dei Paesi al mondo più ossessionati dalla chirurgia estetica, pare che la bambola americana molto snella (al limite dell’anoressia) sia un canone estetico, come il Policleto per Winckelmann. «Ogni donna sogna di assomigliarle» sostiene Ramiro Mayol, produttore del musical in stile broadwayano dedicato alle Barbie in scena a Buenos Aires. Barbie è stato un mito globale della modernità. La prima fu partorita nel 1959. La signora Ruth Handler, moglie del fondatore della Mattel, spiando la figliola giocare con bambole di carta, pensò fosse brillante idea inventarne una con le fattezze da donna adulta. Copiarono un balocco già esistente in Germania, la «Bild Lilli», e non fu il primo plagio in materia, perché gli yankee oltre alle V2 per volare sulla luna presero ai tedeschi anche le bambole gonfiabili sexy che Hitler aveva inventato per i suoi soldati, affinché non corrompessero la razza in bordelli non ariani. La creatura Mattel fu un successo. Ha venduto un miliardo di esemplari: se fossero tutte distese in fila, da qualche capricciosa dea bambina intorno alla Terra, farebbero sette volte il giro dell’equatore. Insieme al successo, ha creato un mondo virtuale parallelo. Ha un nome fittizio, Barbara Millicent Roberts, una famiglia, un amoroso (mai sposato), case, svaghi, animali. Negli Anni 50 era cotonata e perfetta, come tutte le donne americane dovevano essere nel focolare, poi, man mano che arrivava la parità dei sessi, ha cominciato a lavorare passando per ogni mestiere, dalla fioraia all’astronauta, dall’ufficiale nel Desert Storm ”92 (contro Saddam mobilitarono anche lei) all’insegnante del linguaggio dei segni. Andy Warhol ne ha fatto un’opera d’arte, gli Aqua una parodia musicale, gli islamici un giocattolo corrotto da bandire. Nel 2004 Barbie ha annunciato una campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti. Se donne improbabili diventano ministre, perché lei non può aspirare alla Casa Bianca? Yes, she can. Tra le infinite storie sul suo conto c’è la ricerca scientifica di Agnes Nairn, università di Bath, Inghilterra. La dottoressa sostiene che le bambine, ad un certo punto della vita, sviluppano odio verso le Barbie e gliene fanno di tutti i colori, le decapitano, le mutilano, le infilano nel forno a microonde. Pare sia un rito di passaggio. Ora Barbie si vendica. Dopo essere stata vestita, svestita, spupazzata, seviziata, miliardi di volte, si mette lei ad abbigliare fanciulle in carne e ossa. Stampa Articolo