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 2008  novembre 16 Domenica calendario

MAURIZIO MOLINARI PER LA STAMPA DI MARTEDì 16 DICEMBRE 2008


Vive in una monocamera tappezzata di ritratti del «Che» Guevara, è stato sequestrato dai sunniti e considerato un sospetto dagli americani, la sua unica famiglia sono tre fratelli e la sorella e ciò in cui più crede lo ha dimostrato tirando due scarpe contro il presidente degli Stati Uniti. Questo è Muntazer Al Zaidi, 28 anni, il giornalista della tv Al-Baghdidia riuscito a infiammare le piazze dell’Islam con un gesto di sfida che la stampa araba esalta, i vignettisti rilanciano in molteplici declinazioni e le tv del Medio Oriente mandano in onda a ripetizione. Senza contare le migliaia di iracheni scesi in piazza, a Sadr City come a Najaf, innalzando scarpe come fossero bandiere oppure gettandole contro le pattuglie delle truppe americane. Poiché di Al Zaidi non si sa più nulla da quando la sicurezza l’ha immobilizzato sul pavimento della sala della conferenza stampa, arrestato e sottoposto «a esami sulla dipendenza da alcol e droga» (potrebbe rischiare sette mesi), a raccontare chi è il nuovo eroe antioccidentale sono le persone che lo conoscono meglio. Si tratta dei tre fratelli e dell’unica sorella, Umm Firas, con la quale ha il rapporto più stretto.
I quattro si sono ritrovati ieri nel monolocale di Baghdad Ovest dove vive Muntazer: un tavolo, un letto e una cucina in disordine ovvero l’abitazione di uno scapolo come tanti se non fosse per i manifesti del rivoluzionario Che Guevara alle pareti. «Giuro su Allah che mio fratello è un eroe, che Allah lo protegga» ha detto la sorella, assicurando che «è stato un gesto spontaneo, personale, motivato dalle notizie che ha trovato sulle sofferenze e la morte che ogni giorno incombono su milioni di iracheni». Al Zaidi è uno sciita che dal 2005 lavora per la tv irachena Al Baghdidia di base al Cairo, in precedenza ha studiato giornalismo in Libano dove fra i compagni di studi aveva Zanko Ahmed, un curdo, che lo ricorda come «un tipo arrogante, sempre intento a emergere e provocare, per dimostrare che nessuno è intelligente come lui». «Quanto ha fatto dimostra che non ha imparato nulla dalle lezioni di giornalismo che abbiamo ricevuto in Libano» aggiunge Ahmed, secondo il quale al-Zaidi «spesso mi ha parlato in termini enfatici di Moqtada al Sard» il leader sciita ribelle già a capo di due rivolte militari contro le forze americane in Iraq.
Ma il fratello Dhirgham la pensa altrimenti: «Muntazer due anni fa venne sequestrato per tre giorni mentre si trovava in un quartiere sunnita di Baghdad e in gennaio la sua casa è stata perquisita dagli americani, che poi gli hanno chiesto scusa, odia l’occupazione militare americano come l’occupazione morale iraniana, considera il regime iraniano l’altra faccia di quello americano».
Ma a sollevare il dubbio che il gesto di Al Zaidi abbia avuto una matrice politica c’è il fatto che migliaia di iracheni sono scesi nelle strade proprio a Sadr City, il quartiere di Baghdad roccaforte di Moqtada al Sadr, chiedendone l’immediato rilascio, bruciando bandiere americane e innalzando striscioni con il suo nome stampato assieme a lunghi bastoni in cima ai quali c’erano scarpe accompagnate dalla scritta «Go Out Usa» (Fuori gli Usa). A Najaf gruppi di militanti di Al Sadr hanno lanciato scarpe contro pattuglie americane, che non hanno reagito, cantando «Bush, Bush, ascolta bene, due scarpe in testa». I giornali del mondo arabo, da Riad a Ramallah, hanno trasformato le scarpe nel simbolo del rigetto degli Usa, pubblicando editoriali di plauso e vignette in cui si vede Bush bersagliato da calzature volanti quasi fossero jet per commentare che «questo avrebbero dovuto fare i leader arabi».
Le proteste hanno regalato un picco di popolarità alla tv Al Baghdadia il cui direttore Abdel-Hameed al-Sayeh, si è vantato di «mobilizzare il mondo per la liberazione del nostro reporter». Al Jazeera ha dovuto rincorrere l’insolita rivale intervistando l’ex avvocato di Saddam, Khalil al Dulaimi, che si è offerto di difendere «l’eroe delle scarpe». Bush da Kabul ha tentato di sminuire l’impatto politico del gesto dicendo di «non averlo preso come un insulto», definendolo con sarcasmo uno «dei momenti strani della presidenza» e invitando alla prudenza perchè «non si può scambiare il gesto di un uomo con il sentimento di un popolo intero». Ma ad essere molto preoccupati da quanto sta avvenendo sono i servizi segreti, non solo in Iraq, timorosi che il lancio delle scarpe possa essere ripetuto, obbligando a rivedere le vigenti norme per la protezione degli statisti.

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JACOPO IACOBONI PER LA STAMPA DI MARTEDì 16/12/2008

Avessero tutti il riflesso di Dabliu... allora non è vero che è così lento (in tutti i sensi). Che avrebbero fatto al suo posto Andreotti, Fanfani, Berlusconi?
Tutti e tre l’oggetto contundente se lo sono beccato. Ma con reazioni psicologicamente significative. Ad Andreotti presidente del Consiglio capitò anni fa d’essere accolto da una pioggia d’uova su un ponticello di Rialto, a Venezia, uno lo schizzò in viso. E il Divo: «Eh, dicono che fanno bene alla pelle...».
Monetine, sanpietrini, sedie, uova, microfoni, biglie, ultimamente treppiedi, al limite scarpe, non sempre risultano così salutari. Ieri a Chiaiano, durante una manifestazione con Alex Zanotelli e il dipietrista Franco Barbato, alcuni manifestanti contro la discarica hanno tirato bengala, vernice rossa e - appunto - scarpe su un Babbo Natale che raffigurava il Cavaliere. Silvio (il suo fantoccio) come l’amico George W. Ma il dalli al potere è da sempre un’epopea tragicomica tipicamente italiana, unico rito pop che avvicina il suddito al potente, illudendolo dell’uguaglianza realizzata. Pensate a Fanfani: il contestatore, Angelo Gallo, era uno strambo dc calabrese, zitto zitto gli si avvicina in chiesa, da dietro, e gli tira le orecchie. Che foto! Ma «Rieccolo» aveva una tempra pazzesca. Una volta a un congresso dc, a notte fonda, la sala ululava e molti delegati gli chiedevano di smammare. Fu vista volare una sedia (i socialisti divennero poi specialisti nel lancio congressuale). Fanfani rispose: «Amici, ho preso tanti fischi da quarant’anni, ma se avessi avuto paura dei fischi voi oggi non sareste qui!».
Il Cavaliere ha perdonato il muratore di Marmirolo, Mantova, che nel 2004 in piazza Navona lo centrò con un treppiede. Il giovine non rivendicò il gesto, disse «volevo farmi bello con certe ragazze»; Silvio telefonò alla madre, «cara signora Iole, mi spiace di aver fatto passare capodanno in gattabuia al suo ragazzo», ricavandone edificante spot natalizio. Nondimeno ne ebbe la nuca dolorante - parole sue - per quindici giorni. Altri dal «lancio» ebbero danni irreparabili. Giovanni Leone beccò le monetine dei comunisti già nel ”71, in aula, neo eletto. E a certi studenti che lo fischiavano - e gli tirarono delle biglie - rispose con mimesi parteno-politica: facendo loro le corna. «Mi gridarono ”feten-te”», spiegò poi. «E io gli ho risposto ”f’tienti, i mmuorte vostra”». Alla fine perse, però.
Se c’è una paradossale nobiltà nel lancio individuale all’irachena, c’è poi il lancio anonimo, tipo le monetine davanti al Raphael contro Bettino Craxi, 1992; ai suoi funerali i suoi amici fecero lo stesso contro i ministri del governo D’Alema. Oppure la scarpa che fu vista volare dalle parti dell’allora presidente Scalfaro contestato a Palermo ai funerali del giudice Borsellino. La torta in faccia è un topos: prima del G8 di Genova ne volarono sul ministro plenipotenziario Achille Vinci Giacchi, sull’ex ministro Burlando, sull’uomo del potere-tv, superPippo Baudo, ovviamente a San Remo; Sgarbi ne prese una e scavalcò una transenna per affrontare il lanciatore, davanti a Montecitorio. Gli voleva menare.
Il rito umanizza, avvicina, rende simpatico l’antipatico. Ministre si son prese a capelli. Onorevoli sono stati presi a schiaffi sul treno dai «compagni» (Fernando Rossi nel 2007, dopo aver salutato il governo Prodi). Tirano molto da noi i microfoni, nel senso che li tirano. La Bellillo ne scagliò uno sulla Mussolini in tv (Vespa: «Santo cielo, ministro, cosa fa?»). Sempre Berlusconi beccò un microfono in bocca da un giornalista nella ressa; se ne uscì con l’immortale «cribbio! Me l’ha tirato sui denti!». Il gesto fu catalogato come involontario. Il giornalista rimase a piede libero.