Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il disastro del Mar Nero, quello di domenica, una trentina di morti e cinque navi affondate, una grande quantità di combustibili finiti in mare, sta anche facendo strage di uccelli. il momento della migrazione dalla Siberia verso sud e tante specie passano proprio su Mar Nero e Mar d’Azov. Si posano spesso sulla superficie dell’acqua e adesso, impiastricciandosi col petrolio e la nafta, muoiono. Ci sarebbero, secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa, almeno trentamila carcasse galleggianti sull’acqua, alle quali, naturalmente, si aggiungono i pesci morti, perché il freddo favorisce il rapido affondamento del gasolio, della nafta e del resto.
• Ma che è successo?
Una tempesta molto violenta che ha raggiunto il suo apice domenica scorsa. Nel porto di Kavkaz erano ancorate una sessantina di navi. Noi diciamo navi, ma... Si tratta nella maggior parte dei casi di vecchie carrette, adattate e riadattate di continuo, con attenzione maniacale ai costi, perché gli armatori di queste vasche da bagno sono molto spesso poco più che degli avventurieri. Lei non s’immagina quanta illegalità c’è in mezzo al mare, quel mondo senza re che comincia appena all’orizzonte scompaiono le coste. Sì, ci sono leggi, regolamenti, misure minime e massime, decaloghi di ogni genere. Ma queste bagnarole stanno per la maggior parte del tempo lontane dagli occhi di Dio, i certificati falsi si comprano con poca spesa, gli ispettori sono troppo spesso assolutamente disposti a chiudere un occhio. Insomma queste imbarcazioni non dovrebbero navigare e men che mai trasportare materiale come quello. Invece...
• Quante ne sono andate a fondo?
Cinque. Pensi che la situazione era talmente difficile che alcune navi sono uscite dal porto e sono andate al largo perché i capitani hanno pensato che ci fosse meno pericolo fuori che dentro. Tra quelli che si sono allontanati c’era la Volgoneft 139, che aveva in pancia duemila tonnellate di prodotti petroliferi raffinati, soprattutto olio combustibile, sia leggero che pesante. Una nave del 1978, cioè vecchia di trent’anni. Una raffica l’ha spezzata in due, mentre tutta la Crimea, sconvolta da un vento che soffiava a cento all’ora e spazzata da una pioggia turbinosa, precipitava in un buio di pece. Poco dopo era la volta della Volgoneft 123: scafo squarciato. Intanto non andava meglio alle imbarcazioni rimaste in port il Volnogorsk andava a picco tra le banchine di Kavkaz con le sue due tonnellate di zolfo e all’autorità portuale di Tamans arrivavano intanto Sos da tutte le parti: non solo dalle due Volgoneft, ma anche dalla Nakhitchevan, inabissatasi nello stretto di Kerch, dalla Kovel che era piena di rottami di ferro, da un cargo turco, da quattro navi che s’erano incagliate e mandavano messaggi di disperazione.
• Non riesco a immaginare che cosa si possa fare in casi come questi.
La tempesta era stata annunciata e, per quanto possibile, sarebbe stato saggio andarsene da un’altra parte. In ogni caso, non si dovrebbe girare con barche così vecchie. Trenta morti sono una tragedia. Ed è grave il bilancio ecologic gli uccelli, i pesci e un fondale rovinato per un periodo lunghissimo.
• Per quanto tempo?
Il Wwf dice che l’Ucraina non ha gli strumenti per affrontare e tamponare incidenti di questa portata. Il recupero del petrolio è cominciato, ma c’è ancora cattivo tempo e si procede lentamente. Ci sono varie macchie, ciascuna lunga un chilometro. Gli ecologisti vorrebberon vietare la pesca per vent’anni, ridurre di metà i trasporti marittimi industriali e bandire qualsiasi esplorazione di gas e petrolio. Soprattutto nel Mar d’Azov. Le coste in quel punto sono basse e sabbiose, una caratteristica che favorisce la penetrazione del petrolio nell’entroterra. Lo zolfo era chiuso in container che non si sono aperti e qui dovremmo averla scampata. Il Mar Nero e il Mar d’Azov sono molto inquinati e le organizzazioni ambientaliste di tutto il mondo temono che i veleni passino nel Mediterraneo attraverso il Bosforo.
• Ho sentito di un altro disastro a Londra.
Beh, è nel panico la parte orientale della città per via di un incendio scoppiato in un magazzino di Stratford, in un’area dove si sta costruendo il complesso per le Olimpiadi del 2012. Prima s’è pensato a un attacco terroristico, la polizia lo ha smentito, ma ha detto che in quel punto ci sono delle strutture d’amianto e se la grande nube nera che ha ricoperto la zona è fumo d’amianto... Insomma, l’amianto è uno dei materiali più cancerogeni. Le autorità londinesi cercano di portare la calma, spiegando che per ammalarsi d’amianto ci vuole un’esposizione lunga. Ma l’allarme, almeno fino a questo momento, è grosso. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 13/11/2007]
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