Massimo Gramellini, La Stampa 14/11/2007, 14 novembre 2007
Da quando esiste il partito democratico, personaggi prima onnipresenti come Fassino Rutelli e D’Alema sono praticamente scomparsi dal dibattito politico
Da quando esiste il partito democratico, personaggi prima onnipresenti come Fassino Rutelli e D’Alema sono praticamente scomparsi dal dibattito politico. Mentre i capi dei partiti mignon - i Mastella, i Di Pietro, i Dini - continuano a godere di ottima salute mediatica, anzi il loro spazio di visibilità è persino aumentato. L’evento, assai prevedibile, la dice lunga sul vero motivo per cui in Italia è così difficile disboscare la selva della partitocrazia: da noi conta di più essere il numero 1 di un condominio che il numero 2 di un impero. Se la realtà è questa, e lo è, solo un kamikaze potrebbe accettare di sciogliere il suo manipolo di guastatori, che gli garantisce libero accesso ai finanziamenti pubblici e presenza fissa nei salotti televisivi, per andare ad annullarsi in un esercito di feudatari che trotterellano all’ombra di un unico sovrano, si chiami Walter o Silvio. La deriva lideristica dei partiti, che ovunque nel mondo ha semplificato il quadro politico e ridotto le bocche da sfamare, da noi ha prodotto una proliferazione di mostriciattoli refrattari a qualsiasi riforma, per ovvie ragioni di opportunismo e sopravvivenza personale. Mai avremmo creduto di rimpiangere la conoscenza delle italiche debolezze di cui dette prova la vecchia democrazia cristiana, dove i capi non erano stelle fisse, ma pianeti che ruotavano intorno al sole del potere e si avvicendavano di continuo negli incarichi. Una sarabanda di poltrone che, dando sfogo all’ego arroventato di tutti, finiva per garantire un equilibrio precario eppure assolutamente stabile, come in Italia riesce a essere soltanto ciò che è precario. Stampa Articolo