Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ore 15.42 di ieri, parla Berlusconi: «La crisi è globale e serve una risposta globale. Si parla di una nuova Bretton Woods per scrivere nuove regole e di sospendere i mercati per il tempo necessario per scrivere queste nuove regole». Potrebbe anche accadere (cioè la chiusura delle Borse di tutto il mondo), ma che lo dica – conversando con i giornalisti – il presidente del Consiglio è davvero singolare. Otto minuti dopo, infatti, si corregge: «Qualcuno ha avanzato l’ipotesi di riscrivere le regole. Ne stiamo parlando, ma non c’è ancora nulla». Poco dopo arriva anche la smentita del portavoce di Bush, Tony Fratto: «Non ci sono assolutamente piani o discussioni per interferire con il funzionamento dei mercati negli Stati Uniti». Annunciare la chiusura delle Borse è naturalmente una manovra ribassista: gli operatori, di fronte a una notizia simile, non possono che precipitarsi a vendere. Il premier ha pensato bene di riequilibrarla, ribadendo, poco dopo, che il sistema è solido, le azioni troppo basse e che a questo punto converrebbe comprare Eni ed Enel. molto probabile che la Consob lo redarguisca, dato che il capo del governo ha evidentemente notizie riservate e non può adoperarle per influenzare il mercato.
• Il mercato s’è fatto influenzare?
Il mercato in questo periodo è sordo e cieco e conosce una sola direzione, quella verso il basso. Ieri Milano ha perso il 6,54% ed è quella che è andata meglio. Madrid e Amsterdam sono andati sotto dell’8 e passa per cento, Parigi del 7,73, Francoforte del 7, Londra del 7,95. Wall Street in questo momento è a -7. Unicredit, che l’altro giorno aveva recuperato, è stata nuovamente sospesa al ribasso e alla fine le hanno conteggiato un calo del 13%. Il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Dominque Strauss-Khan, ha detto che il mondo è sull’orlo della recessione. Direi che è stato prudente: mi pare che nella recessione siamo entrati da un pezzo.
• Che significa?
Ne abbiamo già parlato un paio di mesi fa. Significa rallentamento, debolezza. Si fabbrica di meno, ci sono meno scambi e meno acquisti. La recessione si misura attraverso il Pil, che è il Prodotto Interno Lordo, un numero che misura tutto quello che fabbrichiamo in beni e servizi (tutto quello che fabbrichiamo e qualsiasi sia il modo in cui lo fabbrichiamo: fanno Pil, per dire, anche le rapine in banca). Questo Pil è un indice a suo modo angoscioso, perché i tecnici dànno un giudizio positivo dell’economia di un Paese solo se il Pil cresce. Se il Pil invece diminuisce, apriti cielo. E se diminuisce per due trimestri consecutivi allora è recessione conclamata e indiscutibile. Almeno secondo i misuratori americani. Da quest’altra parte dell’Oceano si va un po’ più a peso, ma il concetto è lo stesso. Andando a peso, la recessione c’è già, indipendentemente dal risultato dei due trimestri consecutivi.
• Perché?
Perché la disoccupazione è in aumento ovunque e i prezzi delle materie prime, che avevano raggiunto il loro picco a giugno, sono precipitati. Ieri il petrolio stava a 77 dollari dai quasi 150 di giugno.
• Come sarebbe? Se le materie prime – per esempio il petrolio – costano di meno, questo sarà un bene, no?
No, purtroppo, come ho già avuto modo di spiegarle un mucchio di volte. Un’economia sana – sana almeno secondo il concetto delle società capitalistiche occidentali così come le conosciamo – ha sempre dentro un po’ d’inflazione, che aiuta a tirare la produzione: fabbrico oggi con i prezzi a 100 e so che venderò a 102-103. Non troppa inflazione, ma un po’ sì. Il contrario dell’inflazione, cioè la deflazione, è invece scoraggiante. Fabbrico a 100 e venderò a 98... E come si fa? Lo dica agli agricoltori come reagiscono quando si vedono offrire una miseria per i loro prodotti. Ma c’è un altro punto: quando i prezzi calano è sempre perché sono scomparsi i compratori. Guardi un po’, siamo nello stesso problema della Borsa: mentre crollano i titoli, vanno giù – e il trend dura da tre mesi almeno – anche rame, mais, argento e gli altri beni primari che compongono il paniere dell’indice Reuters/Jefferies. Cioè: in genere, se la Borsa va giù, si spostano i soldi sulle materie prime. Stavolta neanche quello, perché si compra di meno. Ho visto i dati sulle vendite nei supermercati e sono scese dell’1%. recessione.
• Alla fine si perderanno tanti posti di lavoro?
Sì, purtroppo. La gente lo sa e risparmia. La General Motors, con 235 mila dipendenti, l’altro giorno ha perso a Wall Street il 31 per cento. Ha un disperato bisogno di 50 miliardi e nessuno glieli dà. la prima azienda al mondo per fatturato. Si rende conto dell’effetto che avrebbe una sua liquidazione (che ancora ieri il management ha smentito)? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 11/10/2008]
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