Sergio Bocconi, Corriere della Sera 11/10/2008, 11 ottobre 2008
MILANO
Da sempre chiudere i mercati dei titoli equivale un po’ a chiudere il Mercato. Una «fine del mondo» che fra guerre, disastri finanziari e qualche accidente tecnico di minor valore, ha sconvolto i listini più di una volta. Ma nella maggior parte dei casi si è trattato di stop locali. Oggi la finanza è globale e per rintracciare un precedente di fermo mondiale (o quasi) bisogna risalire al 1914: allo scoppio della guerra il segretario al Tesoro William Gibbs McAdoo decide di chiudere Wall Street per evitare un disastro monetario. E la fine della Belle poque viene descritta anche dalle «grida» ridotte al silenzio per circa quattro mesi.
Nulla, nemmeno il Grande crac dell’ottobre 1929 riesce più a convincere le autorità sull’efficacia di «buttar via la chiave»: le Borse sono appunto mercati e quel che viene proibito si ripresenta raddoppiato o triplicato a fine blocco. La stessa Wall Street torna a fermarsi per quattro giorni solo dopo l’11 settembre 2001 quando l’attentato alle Due Torri inghiotte gli uffici di 430 società e le strade sono macerie. I mercati di tutto il mondo vanno in tilt, sono disorientati, e si discute molto se non sia il caso di bloccare tutto. Ma poi non si procede.
L’attentato è una guerra particolare, improvvisa, choccante, ma nemmeno il secondo conflitto mondiale ha più fermato le contrattazioni se non in modo saltuario.
In Piazza Affari, per esempio, le bombe convincono a spostare la Borsa nel bunker della galleria Meravigli e gli stop dal ’46 a oggi sono attribuibili a motivi per così dire tecnici: nel ’56 gli agenti scioperano per tre mesi contro i decreti fiscali Tremelloni; nel 1981 le corbeilles chiude dopo una lunga discesa anomala e riapre con l’introduzione della contrattazione per contanti; nel ’91 sono i procuratori a incrociare le braccia; nel maggio ’94 il nuovo sistema telematico va in tilt e la seduta viene annullata. Uno stop «tecnologico» che anche Londra ha subito nell’86 dopo l’addio alle grida.
Le turbolenze, anche gravi, in genere vengono arginate con provvedimenti ad hoc, come il blocco delle vendite allo scoperto, rinnovato anche in questi giorni nelle principali Borse mondiali, o l’introduzione di «stop loss», cioè di sospensioni automatiche per eccesso di ribasso. Misure circoscritte che spesso sollevano proteste di operatori o risparmiatori anche perché il rapporto fra danni e benefici è possibile solo ex post. Fermare tutto è considerato in genere una soluzione estrema, e sospensioni forzate di interi listini sono casi rari. Nelle ultime settimane, mentre le grandi big mondiali dell’investment banking si dissolvevano a Wall Street dopo ribassi apocalittici, hanno chiuso per ribasso Mosca o San Paolo. La finanza globale si è fermata lì.