Paola Pica, Corriere della Sera 11/10/2008, 11 ottobre 2008
MILANO
«He is the bank», lui è la banca, ha sempre detto il presidente Dieter Rampl di Alessandro Profumo. Oggi è più vero di ieri, quando Unicredit, «la banca di», si affermava come campione europeo e il suo amministratore delegato come banchiere dell’anno. E anche adesso che il crollo del titolo in Borsa (-55% dall’inizio dell’anno, come la Deutsche Bank) viene vissuto più come un attacco al suo Ceo che alla banca italo-tedesca, Profumo sembra essere meno sostituibile di altri, nel panorama dei big del credito internazionale, dove pure son già cadute molte teste.
In nessun altra bufera bancaria vista fin qui l’identificazione tra l’azienda e il manager risulta essere così integrale. E lui, reso più forte dall’argine patrimoniale assicurato alla banca (l’indice di solidità punta al 6,7%), un utile pur sempre a 5 miliardi, e una pubblica dichiarazione di sostegno del consiglio di amministrazione, ha smesso di smentire le voci sulle sue dimissioni. Ed è entrato in trincea. Qui ragiona anche su come temperare quel problema «reputazionale dei banchieri » che lo angustia e che pare abbia trovato soluzione nella scelta di azzerare il suo «bonus », la parte variabile della retribuzione, che pesa per due terzi sul totale. L’anno scorso, 6 milioni su 9.
L’ultimo contatto con il governo risale ormai a domenica sera, al termine del board che ha varato il maxiaumento da 6,6 miliardi. Un gesto di cortesia nei confronti del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che nei giorni neri aveva auspicato la messa in sicurezza della banca di Profumo, ricordando a quest’ultimo come il risparmio sia «un bene pubblico tutelato dalla Costituzione».
Il banchiere e il ministro non si incontreranno al Fondo Monetario di Washington nel fine settimana. Profumo ha deciso mercoledì sera di annullare la trasferta Oltreoceano, preferendo restare al lavoro nel suo ufficio di Milano. Solo ieri, nel pomeriggio, è volato a Berlino per partecipare all’incontro all’ambasciata tra gli industriali tedeschi e quelli italiani, al quale era presente anche la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.
Nella capitale tedesca Profumo è stato raggiunto dalla nuova ondata di voci sulle sue dimissioni, mentre il ministro Tremonti da Washington confermava la sua linea contro la cosiddetta salva-manager e l’opportunità di «mandare a casa chi ha sbagliato ». Non ho alcuna intenzione di dimettermi, almeno fino a che avrò la fiducia del consiglio e dei miei azionisti, avrebbe ribadito Profumo ai suoi, ricordando che quella di Unicredit è un’operazione di mercato e che fino a quando sarà possibile la politica resterà fuori dalla porta in Piazza Cordusio. Profumo non ha intenzione di venir meno agli impegni con 180 mila dipendenti in un impero che va dalla Polonia alla Sicilia, dalla Turchia agli Stati Uniti, e diverse centinaia di migliaia tra clienti. Una posizione sulla quale avrebbe fatto quadrato anche Mediobanca, che ha messo a punto e sta gestendo l’operazione di ricapitalizzazione e che di Unicredit è la partecipata. Un incoraggiamento a restare alla guida di Unicredit sarebbe giunto anche da Cesare Geronzi, presidente di Piazzetta Cuccia.
E tuttavia i rumor, lungi dall’esser rientrati, hanno preso forza fino a sembrar veritieri, come è accaduto ieri, complici il nuovo crollo in Borsa del titolo (-13%) e i presunti malumori del Palazzo romano. Arrivano intanto uno dopo l’altro i via libera dei soci alla ricapitalizzazione, ieri approvata anche dal consiglio di indirizzo della Fondazione Crt (che ha votato sì all’unanimità e si è impegnato fino a 500 milioni di euro sul bond a servizio dell’aumento di capitale) e dalla Fondazione Bds. Mentre è stata convocata per il 12-13-14 novembre l’assemblea straordinaria.
Paola Pica