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 2008  ottobre 11 Sabato calendario

Ore 15.42 di ieri, parla Berlusconi: «La crisi è globale e serve una risposta globale. Si parla di una nuova Bretton Woods per scrivere nuove regole e di sospendere i mercati per il tempo necessario per scrivere queste nuove regole»

Ore 15.42 di ieri, parla Berlusconi: «La crisi è globale e serve una risposta globale. Si parla di una nuova Bretton Woods per scrivere nuove regole e di sospendere i mercati per il tempo necessario per scrivere queste nuove regole». Potrebbe anche accadere (cioè la chiusura delle Borse di tutto il mondo), ma che lo dica – conversando con i giornalisti – il presidente del Consiglio è davvero singolare. Otto minuti dopo, infatti, si corregge: «Qualcuno ha avanzato l’ipotesi di riscrivere le regole. Ne stiamo parlando, ma non c’è ancora nulla». Poco dopo arriva anche la smentita del portavoce di Bush, Tony Fratto: «Non ci sono assolutamente piani o discussioni per interferire con il funzionamento dei mercati negli Stati Uniti». Annunciare la chiusura delle Borse è naturalmente una manovra ribassista: gli operatori, di fronte a una notizia simile, non possono che precipitarsi a vendere. Il premier ha pensato bene di riequilibrarla, ribadendo, poco dopo, che il sistema è solido, le azioni troppo basse e che a questo punto converrebbe comprare Eni ed Enel. molto probabile che la Consob lo redarguisca, dato che il capo del governo ha evidentemente notizie riservate e non può adoperarle per influenzare il mercato.

Il mercato s’è fatto influenzare?
Il mercato in questo periodo è sordo e cieco e conosce una sola direzione, quella verso il basso. Ieri Milano ha perso il 6,54% ed è quella che è andata meglio. Madrid e Amsterdam sono andati sotto dell’8 e passa per cento, Parigi del 7,73, Francoforte del 7, Londra del 7,95. Wall Street in questo momento è a -7. Unicredit, che l’altro giorno aveva recuperato, è stata nuovamente sospesa al ribasso e alla fine le hanno conteggiato un calo del 13%. Il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Dominque Strauss-Khan, ha detto che il mondo è sull’orlo della recessione. Direi che è stato prudente: mi pare che nella recessione siamo entrati da un pezzo.

Che significa?
Ne abbiamo già parlato un paio di mesi fa. Significa rallentamento, debolezza. Si fabbrica di meno, ci sono meno scambi e meno acquisti. La recessione si misura attraverso il Pil, che è il Prodotto Interno Lordo, un numero che misura tutto quello che fabbrichiamo in beni e servizi (tutto quello che fabbrichiamo e qualsiasi sia il modo in cui lo fabbrichiamo: fanno Pil, per dire, anche le rapine in banca). Questo Pil è un indice a suo modo angoscioso, perché i tecnici dànno un giudizio positivo dell’economia di un Paese solo se il Pil cresce. Se il Pil invece diminuisce, apriti cielo. E se diminuisce per due trimestri consecutivi allora è recessione conclamata e indiscutibile. Almeno secondo i misuratori americani. Da quest’altra parte dell’Oceano si va un po’ più a peso, ma il concetto è lo stesso. Andando a peso, la recessione c’è già, indipendentemente dal risultato dei due trimestri consecutivi.

Perché?
Perché la disoccupazione è in aumento ovunque e i prezzi delle materie prime, che avevano raggiunto il loro picco a giugno, sono precipitati. Ieri il petrolio stava a 77 dollari dai quasi 150 di giugno.

Come sarebbe? Se le materie prime per esempio il petrolio costano di meno, questo sarà un bene, no?
No, purtroppo, come ho già avuto modo di spiegarle un mucchio di volte. Un’economia sana – sana almeno secondo il concetto delle società capitalistiche occidentali così come le conosciamo – ha sempre dentro un po’ d’inflazione, che aiuta a tirare la produzione: fabbrico oggi con i prezzi a 100 e so che venderò a 102-103. Non troppa inflazione, ma un po’ sì. Il contrario dell’inflazione, cioè la deflazione, è invece scoraggiante. Fabbrico a 100 e venderò a 98... E come si fa? Lo dica agli agricoltori come reagiscono quando si vedono offrire una miseria per i loro prodotti. Ma c’è un altro punto: quando i prezzi calano è sempre perché sono scomparsi i compratori. Guardi un po’, siamo nello stesso problema della Borsa: mentre crollano i titoli, vanno giù – e il trend dura da tre mesi almeno – anche rame, mais, argento e gli altri beni primari che compongono il paniere dell’indice Reuters/Jefferies. Cioè: in genere, se la Borsa va giù, si spostano i soldi sulle materie prime. Stavolta neanche quello, perché si compra di meno. Ho visto i dati sulle vendite nei supermercati e sono scese dell’1%. recessione.

Alla fine si perderanno tanti posti di lavoro?
Sì, purtroppo. La gente lo sa e risparmia. La General Motors, con 235 mila dipendenti, l’altro giorno ha perso a Wall Street il 31 per cento. Ha un disperato bisogno di 50 miliardi e nessuno glieli dà. la prima azienda al mondo per fatturato. Si rende conto dell’effetto che avrebbe una sua liquidazione (che ancora ieri il management ha smentito)? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 11/10/2008]