Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
C’è un versante giudiziario della tragedia abruzzese. piuttosto chiaro che molti edifici sono crollati perché costruiti male o perché, se antichi, non messi in sicurezza come sarebbe stato necessario. L’inchiesta è nelle mani del procuratore dell’Aquila, Alfredo Rossini – romano e apparso forse troppe volte in tv’ e del suo fidatissimo pm Fabio Picuti. Ieri – mentre Bertolaso consegnava la lista dei 49 comuni titolati a ricevere il sostegno dello Stato – Rossini ha aperto un fascicolo in cui si ipotizzano i reati di disastro colposo e omicidio colposo, imputazioni ancora lievi rispetto a quelle, sempre possibili, di «disastro doloso » e «omicidio doloso». Rossini: «Se uno ha sbagliato, allora il reato è colposo. Ma se uno ha rubato e nei pilastri non ha messo il ferro, allora il delitto diventa doloso». Un comitato formato da un’ottantina di studenti della Casa – dove sono morti otto giovani – ha presentato un esposto, i magistrati intanto hanno individuato, senza renderlo noto, un primo elenco di costruttori da interrogare.
• Quanti sarebbero gli edifici che sono venuti giù e che invece sarebbero dovuti restare in piedi?
Ventiduemila. A questa cifra si arriva per deduzione. Una «Scheda di valutazione del danno» compilata dalla Protezione civile sostiene che l’intensità del sisma avrebbe dovuto far crollare 38 mila immobili. Invece ne sono finiti in macerie 60 mila. La differenza circoscrive numericamente «quello che non sarebbe dovuto succedere». Lei capisce che 22 mila edifici da mettere sotto inchiesta rappresentano qualcosa persino difficile da concepire. In ogni caso, è stata stabilita una lista delle priorità. Prima si esamineranno gli edifici pubblici dove ci sono stati morti e feriti, poi quelli caduti senza danni alle persone e infine gli stabili dei privati. Procuratore e pubblico ministero hanno parecchie frecce al loro arco.
• Quali?
Innanzitutto l’analisi delle macerie, che sono state messe sotto sequestro per timore che qualcuno di quelli che dovrebbero/ potrebbero finire in galera inquini le prove. Ci sono poi un paio di rapporti stilati negli anni scorsi e dai quali si evince che i disastri del 6 aprile erano stati ampiamente previsti e segnalati. Il più antico di questi rapporti risale al 1999 – dieci anni fa – e fu fatto realizzare da Franco Barberi, a quell’epoca sottosegretario alla Protezione civile. Si intitola: Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia. Quindici mesi di studio, graduatoria di 42.106 edifici pubblici suddivisi per rischio sismico, marchio arancione all’Aquila giudicata a rischio alto o medio alto in molte delle sue costruzioni. L’elenco di queste costruzioni coincide con quello degli immobili finiti in macerie il 6 aprile. Il rapporto, inviato a tutti quelli a cui doveva essere inviato, fu chiuso in un cassetto e dimenticato. Eppure il pericolo era così chiaro che il capo della Protezione civile abruzzese, Pierluigi Caputi, volle fare un secondo censimento degli edifici a rischio.
• Risultati?
Niente neanche stavolta. Le schede degli immobili vennero consegnate nel 2005. Seguì un carteggio – segreto fino all’altro giorno, quando la Procura lo ha acquisito e Fiorenza Sarzanini ne ha parlato ieri sul Corriere della Sera – tra Regione ed Enti locali che non portò a niente. Eppure le costruzioni di cui tanto si parla adesso – Casa dello Studente (in alto, nella foto Ansa), Ospedale San Salvatore, Scuola elementare De Amicis, eccetera – erano tutte ben descritte. Il Rapporto diceva chiaramente: se arriva il sisma, cadranno.
• Che cosa fecero la Regione e gli altri enti locali?
Decisero altri due distinti programmi di verifica sismica, riguardanti 280 edifici e circa 100 ponti e viadotti. Non ci sono troppi commenti da fare: i soldi sollecitati da un documento che lanciava l’allarme venivano adoperati per stilare altri documenti che – presumibilmente – avrebbero continuato a dare l’allarme. Ma di aprire cantieri per rinsaldare quello che era pericolante non si parlava mai.
• Colpa dello Stato o delle Regioni?
Lo stesso documento precisa che «gli obblighi di messa a norma degli edifici e infrastrutture destinati a diversi usi resta, in termini generali, in carico ai singoli soggetti proprietari ». Per gli stabili di cui stiamo parlando si tratta quasi sempre di Regione, Provincia o Comune. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 18/4/2009]
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