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 2009  aprile 18 Sabato calendario

Prendi il decreto sugli incentivi alla rottamazione, ci infili in sordina un emendamento et voilà, ecco una norma protezionista per blindare il controllo delle società quotate italiane

Prendi il decreto sugli incentivi alla rottamazione, ci infili in sordina un emendamento et voilà, ecco una norma protezionista per blindare il controllo delle società quotate italiane. Non è solo l´ennesimo conflitto di interessi del Berlusconi azionista di Mediaset, ma è un altro chiodo nella bara in cui viene sepolto il Testo Unico della Finanza, emanato nel �98 in vista del mercato unico dei capitali in Eurolandia, per aprire alla concorrenza la nostra Borsa asfittica, dove prevalevano i benefici del controllo di pochi sugli interessi di tutti gli investitori. L´emendamento permette alle società quotate di riacquistare fino al 20% delle proprie azioni (buyback), ed esenta dall´Opa chi, esercitando il controllo con il 30%, decidesse di salire al 35%. Poiché le azioni proprie non votano, chi oggi governa col 30% può dunque blindare il controllo salendo al 43,75% senza dover estendere l´offerta a tutti gli azionisti: alla faccia della par condicio. Già la maggioranza delle società ha un azionista che le controlla con almeno il 51%. Con questo emendamento si blindano anche le società dove Stato, fondazioni, istituzioni finanziarie o gruppi privati esercitano il controllo con meno del 30% (come Fiat, IntesaSanpaolo, Eni, Generali, Enel o Impregilo). Questo è puro protezionismo finanziario. Col pretesto delle "manovre speculative", e sfruttando l´onda emotiva della crisi per una Jihad contro il "capitalismo anglosassone", si ergono barriere ai movimenti di capitale, che costeranno care. Eliminando la poca concorrenza nei diritti di proprietà che rimaneva, si elimina un potente incentivo a gestire le imprese con efficienza e nell´interesse di tutti gli azionisti. Si segmenta inoltre il mercato europeo dei capitali: ma il mercato unico aveva proprio l´obiettivo di abbattere le segmentazioni che pongono le imprese di Eurolandia in condizioni di svantaggio rispetto ai gruppi americani ed asiatici. La norma è stata varata con l´avallo della classe imprenditoriale, che evidentemente pensa alla la Borsa come a un pollaio ben recintato nel cortile di casa. E con il paradossale sostegno della Consob che, grazie all´emendamento, a propria discrezione può ora richiedere la comunicazione dell´acquisto di quote anche inferiori al 2%, per essere sicuri che la proprietà resti nelle mani di "persone grate". Un´altra dose di capitalismo delle relazioni. L´innalzamento dei buyback al 20% è dannoso anche per un´altra ragione. I buyback sono equivalenti ai dividendi straordinari: un modo per restituire soldi agli azionisti. Servono alle imprese con tanta liquidità e poche opportunità di investimento. E sono utili se i capital gain sono tassati meno dei dividendi: che però non è il caso italiano. Così rischiano di diventare solo uno specchietto per le allodole. I buyback non migliorano le prospettive di crescita o la capacità di generare utili dell´azienda, quindi non creano valore. Aumentano gli utili per azione, ma perchè riducono il numero di titoli in circolazione. L´aumento della redditività sul capitale, inoltre, è solo apparente: poiché sale il rapporto tra indebitamento e capitale, aumenta anche il rischio a cui sono esposti gli azionisti. Si dice che i buyback segnalino la fiducia di manager e azionisti di controllo in aziende che il mercato sottovaluta. Se volessero davvero dare un segnale di fiducia, manager e azionisti dovrebbero comprare azioni sul mercato con soldi propri, non con quelli dell´azienda; come qualsiasi altro investitore convinto che il titolo sia sottovalutato. In una Borsa con pochi titoli (meno di 20 anni fa), dove tutte le società hanno un gruppo di controllo, prevalgono le relazioni, e gli investitori individuali rappresentano ancora una grossa quota degli scambi, i buyback rischiano di diventare solo un modo per manipolare prezzi e creare facili entusiasmi. Non ne abbiamo davvero bisogno.