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 2009  aprile 18 Sabato calendario

C’è un versante giudiziario del­la tragedia abruzzese. piutto­sto chiaro che molti edifici sono crollati perché costruiti male o perché, se antichi, non messi in sicurezza come sarebbe stato ne­cessario

C’è un versante giudiziario del­la tragedia abruzzese. piutto­sto chiaro che molti edifici sono crollati perché costruiti male o perché, se antichi, non messi in sicurezza come sarebbe stato ne­cessario. L’inchiesta è nelle ma­ni del procuratore dell’Aquila, Alfredo Rossini – romano e ap­parso forse troppe volte in tv’ e del suo fidatissimo pm Fabio Picuti. Ieri – mentre Bertolaso consegnava la lista dei 49 comu­ni titolati a ricevere il sostegno dello Stato – Rossini ha aperto un fascicolo in cui si ipotizzano i reati di disastro colposo e omi­cidio colposo, imputazioni an­cora lievi rispetto a quelle, sem­pre possibili, di «disastro dolo­so » e «omicidio doloso». Rossi­ni: «Se uno ha sbagliato, allora il reato è colposo. Ma se uno ha rubato e nei pilastri non ha mes­so il ferro, allora il delitto diven­ta doloso». Un comitato forma­to da un’ottantina di studenti della Casa – dove sono morti otto giovani – ha presentato un esposto, i magistrati intanto hanno individuato, senza ren­derlo noto, un primo elenco di costruttori da interrogare.

Quanti sarebbero gli edifici che sono venuti giù e che inve­ce sarebbero dovuti restare in piedi?
Ventiduemila. A questa cifra si arriva per deduzione. Una «Scheda di valutazione del danno» compilata dalla Prote­zione civile sostiene che l’in­tensità del sisma avrebbe do­vuto far crollare 38 mila immo­bili. Invece ne sono finiti in ma­cerie 60 mila. La differenza cir­coscrive numericamente «quello che non sarebbe dovu­to succedere». Lei capisce che 22 mila edifici da mettere sot­to inchiesta rappresentano qualcosa persino difficile da concepire. In ogni caso, è stata stabilita una lista delle priori­tà. Prima si esamineranno gli edifici pubblici dove ci sono stati morti e feriti, poi quelli ca­duti senza danni alle persone e infine gli stabili dei privati. Procuratore e pubblico mini­stero hanno parecchie frecce al loro arco.

Quali?
Innanzitutto l’analisi delle ma­cerie, che sono state messe sot­to sequestro per timore che qualcuno di quelli che dovreb­bero/ potrebbero finire in gale­ra inquini le prove. Ci sono poi un paio di rapporti stilati negli anni scorsi e dai quali si evince che i disastri del 6 aprile erano stati ampiamente previsti e se­gnalati. Il più antico di questi rapporti risale al 1999 – dieci anni fa – e fu fatto realizzare da Franco Barberi, a quell’epo­ca sottosegretario alla Prote­zione civile. Si intitola: Censi­mento di vulnerabilità degli edifici pubblici strategici e spe­ciali nelle regioni Abruzzo, Ba­silicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia. Quin­dici mesi di studio, graduato­ria di 42.106 edifici pubblici suddivisi per rischio sismico, marchio arancione all’Aquila giudicata a rischio alto o me­dio alto in molte delle sue co­struzioni. L’elenco di queste costruzioni coincide con quel­lo degli immobili finiti in mace­rie il 6 aprile. Il rapporto, invia­to a tutti quelli a cui doveva es­sere inviato, fu chiuso in un cassetto e dimenticato. Eppu­re il pericolo era così chiaro che il capo della Protezione ci­vile abruzzese, Pierluigi Capu­ti, volle fare un secondo censi­mento degli edifici a rischio.

Risultati?
Niente neanche stavolta. Le schede degli immobili venne­ro consegnate nel 2005. Seguì un carteggio – segreto fino al­l’altro giorno, quando la Procu­ra lo ha acquisito e Fiorenza Sarzanini ne ha parlato ieri sul Corriere della Sera – tra Regio­ne ed Enti locali che non portò a niente. Eppure le costruzioni di cui tanto si parla adesso – Casa dello Studente (in alto, nella foto Ansa), Ospedale San Salvatore, Scuola elementare De Amicis, eccetera – erano tutte ben descritte. Il Rappor­to diceva chiaramente: se arri­va il sisma, cadranno.

Che cosa fecero la Regione e gli altri enti locali?
Decisero altri due distinti pro­grammi di verifica sismica, ri­guardanti 280 edifici e circa 100 ponti e viadotti. Non ci so­no troppi commenti da fare: i soldi sollecitati da un docu­mento che lanciava l’allarme venivano adoperati per stilare altri documenti che – presu­mibilmente – avrebbero con­tinuato a dare l’allarme. Ma di aprire cantieri per rinsaldare quello che era pericolante non si parlava mai.

Colpa dello Stato o delle Regio­ni?
Lo stesso documento precisa che «gli obblighi di messa a norma degli edifici e infrastrut­ture destinati a diversi usi re­sta, in termini generali, in cari­co ai singoli soggetti proprieta­ri ». Per gli stabili di cui stiamo parlando si tratta quasi sem­pre di Regione, Provincia o Co­mune. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 18/4/2009]