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 2009  aprile 18 Sabato calendario

Dal G-20 sono ve­nuti pochi impegni concreti e un rosario di pii proponimenti; basteranno a far tornare alla normalità il sistema finanziario? Decidere cosa faranno le banche in futuro, e assieme far ripartire l’attività, è come cambiare le ruote dell’auto in corsa; opera ardua ma urgente

Dal G-20 sono ve­nuti pochi impegni concreti e un rosario di pii proponimenti; basteranno a far tornare alla normalità il sistema finanziario? Decidere cosa faranno le banche in futuro, e assieme far ripartire l’attività, è come cambiare le ruote dell’auto in corsa; opera ardua ma urgente. Certo non si tornerà alla turbofinanza; tutto un sistema volto a forzare la crescita è sotto accusa. Anche l’obiettivo di colmare l’output gap desta dubbi: parte della capacità installata infatti eccede la domanda reale, non drogata. La crisi ha tante cause: quelle profonde sono i grandi squilibri fra paesi in surplus e in deficit, e l’ingente travaso di reddito dal lavoro al capitale. La Cina ha ammassato dollari per molti motivi: far crescere le imprese che esportano tenendo basso il cambio, permettere ai cittadini di supplire alla mancanza del welfare, e non ripetere l’esperienza dei Paesi vicini negli anni ”90, quando ai grandi afflussi di fondi seguirono improvvisi deflussi, e quei Paesi ricorsero, cappello in mano, all’allora arcigno Fmi. Da queste cause vengono l’eccesso di liquidità Usa, i bassi tassi, le follie turbofinanziarie e l’esplosione del debito, con cui i cittadini Usa hanno cercato di rimediare al fatto che i guadagni di produttività andavano al capitale e non al lavoro. Bisogna ridurre le eccessive disuguaglianze, aiutare i Paesi emergenti – vittime innocenti della crisi – e riequilibrare i flussi globalizzati. Purtroppo tutto ciò, come la «nuova Bretton Woods», passa in secondo piano; far ripartire le banche è più urgente. Speriamo che non passi tutto in cavalleria quando tornerà la ripresa, e che a quel punto, si abbia davvero la forza di contrastare le «bolle», e ristorare i conti pubblici. Venendo al cambio delle ruote in corsa, una premessa. Non abbiamo idea del grande potere della finanza nell’economia e nella politica Usa; solo questo strapotere spiega la mancanza di risposte, politiche e giudiziarie, alla crisi negli Usa. Gli scandali Enron, Worldcom etc..., sfociarono in dure leggi, processi veloci e severe condanne; ora nulla. Ma processare la finanza vorrebbe dire processare buona parte dell’establishment. Se Obama licenzia il Ceo di Gm, altrettanto non può fare per quello di Goldman, che pure annuncia con hubris che rimborserà i fondi federali (10 miliardi di dollari). In tal modo Goldman «brucia» il riserbo sugli stress test per quanto la riguarda, e mette sotto pressione – sfidandoli a seguirla – i pochi concorrenti rimasti dopo la falcidie di rivali cui ha presieduto, da ministro, il suo ex Ceo, Paulson. Jp Morgan pare la imiterà, ma così si riducono i mezzi, mentre il governo vuole banche più robuste, per far tornare la fiducia degli investitori. Per il ministro del Tesoro Geithner non servono marginali aggiustamenti, ma nuove regole del gioco; la soluzione sta in tre punti, capitale, capitale e capitale. Agendo su questa leva, si eviterà che le banche siano come bische, dove se la va storta, comunque paga Pantalone. Ci saranno tetti ai debiti che le banche possono contrarre, garanzie statali prezzate in funzione del rischio, strutture retributive che scoraggiano scommesse azzardate. L’epoca delle banche-casinò è finita, e negli Usa smetteranno di attrarre le menti più brillanti: sarà un bene. Sempre il capitale sarà il mezzo con cui saranno scoraggiate le operazioni in titoli trattati fuori mercato, e privilegiate quelle su mercati con controparti centralizzate, che assorbono qualsiasi perdita senza insolvenze. Poi bisogna evitare che una banca diventi troppo grande per le forze dello Stato sovrano che la ospita, Islanda docet. In un articolo dell’aprile 2001 sul sito Breakingviews.com, sostenni che solo il loro strapotere evitava alle investment bank Usa un sano procedimento antitrust. Sarebbe stata questa la strada maestra. Ora che i danni sono evidenti, e che la grande dimensione delle banche pare più che altro un pericolo – oltre certe dimensioni, sia il management, sia i regolatori, perdono il controllo sui rischi – si pensa perfino a requisiti di capitale con aliquote progressive, per scoraggiare il gigantismo: le tre grandi banche commerciali Usa, cresciute ulteriormente proprio con la crisi, dovrebbero smagrire? Esse daranno battaglia a Geithner, e vedremo le scintille! La crisi delle banche islandesi cambia, infine, il paesaggio della regolazione internazionale. Scottata dai danni subiti dai propri cittadini, clienti di quelle banche, Londra improvvisamente scopre che la competizione fra regolatori, da lei sempre auspicata, danneggia quello più serio: e Lord Turner, presidente della britannica Fsa, addirittura auspica «più Europa» nella regolazione finanziaria. Cosa ci tocca sentire! Chissà che proprio da questo versante, paradossalmente, non venga la riscossa del mercato unico europeo, che nella crisi finora aveva solo preso gran sberle.