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 2009  aprile 18 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 20 APRILE 2009 300

milioni di euro: a tanto ammontano secondo la Federazione contro la pirateria musicale i danni patiti ogni anno dall’industria discografica italiana. [1] Daniel Johansson, giovane ricercatore svedese specializzato nello studio del file sharing: «Entro pochi anni tutta la musica finora pubblicata starà su un solo disco, copiabile in poche ore. A quel punto, quale modello di business sarà possibile per l’industria discografica?». [2]

Al termine di quello che in Svezia è stato definito «il processo del millennio», venerdì la Corte distrettuale di Stoccolma ha condannato in primo grado tre giovani e un industriale a un anno di prigione cui va aggiunto un risarcimento di 30 milioni di corone, pari a 2,7 milioni di euro. Peter Sunde (31 anni, alias «Brokep»), Gottfrid Svartholm (24 anni, alias «Anakata»), Fredrik Neij (31 anni, alias «TiAMO»), fondatori di The Pirate Bay, il sito più amato (dagli ”scaricatori” di musica, film, videogiochi gratis) e odiato (dai colossi del cinema e dell’industria discografica) del mondo, e Carl Lundström, amministratore delegato dello sponsor Rix Telecom, sono stati giudicati colpevoli per aver «fornito assistenza nel rendere disponibili materiali protetti da diritto d’autore». Contro di loro 17 major (Sony, Universal ecc.) capitanate dalla International Federation of the Phonographic Industry. [3]

Secondo Warner Bros, Microsoft, Dreamworks e altri giganti, la possibilità di scaricare file attraverso il motore di ricerca di The Pirate Bay (Tpb) è costata alle casse aziendali mancati introiti per circa 117 milioni di corone (10,5 milioni di euro). [4] Tpb è il maggiore «indicizzatore» di file torrent del Web. Gabriela Jacomella: «Per intenderci, quelli più utilizzati per scambiarsi materiale via Internet. Il sito funziona come un elenco telefonico: tu mi dici cosa cerchi, io ti do l’indirizzo a cui trovarlo. Sul vascello, nessun materiale illegale. Solo gli strumenti per reperirlo. A febbraio, Tpb registrava 22 milioni di utenti simultanei». I file contestati sono 33 (9 film, 20 brani musicali, 4 videogiochi). Nel corso del dibattimento l’accusa non è riuscita a dimostrare che tra utenti e gestori ci fosse un rapporto tale da rendere questi ultimi corresponsabili del reato ma per la Corte, più dei dettagli tecnici hanno contato le intenzioni, di cui gli stessi corsari del resto non hanno mai fatto mistero. [3]

Tpb fu promosso nel 2003 da un’associazione anticopyright. Antonio Dini: «Pirate Bay è figlio di Piratbyrån, ”l’ufficio della pirateria”, un centro di riflessione culturale nato all’inizio del decennio a Stoccolma, che predica la dissoluzione del copyright e dei brevetti industriali. Il suo nome è una presa di giro di quello del suo peggiore avversario, l’Antipiratbyrån, cioè l’Agenzia svedese contro la pirateria. Frequentato da giovani studenti universitari spesso fuori corso, che ancor più spesso vivono di sussidi pubblici, il Piratbyrån si è inventato il ”Kopimi”, un modello di licenza alternativa al copyright, anche questo un gioco di parole che suona come ”copiami” in inglese». [2] Il primo aprile del 2005 l’indirizzo Tpb smise all’improvviso di funzionare. «L’Ufficio svedese antipirateria e l’Ifpi, la Federazione internazionale dell’industria discografica ci hanno fatto chiudere», si leggeva nella pagina principale del sito. Era solo un pesce d’aprile, ma un anno e due mesi più tardi la profezia si avverò. Quando, pochi giorni dopo, Tpb tornò online, grazie alla pubblicità indiretta di giornali e televisioni gli utenti passarono di colpo a 2,7 milioni. [1]

«Don’t worry - we’re from the internets. It’s going to be alright. :-)» («non preoccupatevi, andrà tutto bene», con alla fine la faccina sorridente), si legge da venerdì collegandosi con Tpb. E poi: «Come in ogni buon film gli eroi perdono all’inizio, ma poi c’è una vittoria epica. l’unica cosa che Hollywood ci abbia insegnato». Sunde: «Questo è solo il primo grado, ci vorranno 4-5 anni per la sentenza definitiva. In futuro avremo giudici più preparati sul piano tecnico. E vinceremo». [3] Marco Gambaro: «Gli effetti pratici della sentenza sono modesti. Intanto, trattandosi di un verdetto di primo grado, il sito resterà aperto. Inoltre, dopo il sequestro dei server avvenuto nel 2006 da parte delle autorità svedesi, Pirate Bay ha adottato un’architettura decentrata per cui anche nel caso di chiusura di un server il servizio è in grado di ripartire in pochi minuti». [5] Il sito ha server in Russia e Belgio. [6]

Storicamente il riferimento normativo a cui si sono appellati i produttori di tecnologie utilizzate per copie non autorizzate è il caso Betamax. Gambaro: «Quando la Sony nel 1975 lanciò il videoregistratore, le case cinematografiche, in particolare Universal e Disney chiesero di vietarne la vendita. Il caso arrivò nel 1984 alla Corte suprema la quale stabilì che una società non poteva essere ritenuta responsabile per aver creato una tecnologia. Nel sistema anglosassone basato sui precedenti questa decisione ha consentito a molte altre tecnologie, tra cui personal computer, masterizzatori e fotocopiatrici, di resistere agli attacchi dei proprietari dei contenuti. Pirate Bay funziona fornendo i link a siti e computer in cui i suoi utenti trovano il materiale da scambiare e copiare. Un’attività che, secondo i promotori del sito, è analoga a quella svolta dai motori di ricerca». [5] Mark Mulligan, analista di Forrester Research: «Google potrebbe essere ritenuto responsabile quando fornisce link a contenuti che non sono stati liberati dal copyright?». [6] Sunde: «Se ora qualcuno citasse in giudizio Google sarebbe davvero divertente». [3]

Il presupposto per accertare che il gestore di un motore di ricerca è corresponsabile (in concorso) di un illecito è, innanzitutto, la prova dell’esistenza di un comportamento illegale da parte degli utenti. Andrea Monti, avvocato esperto di diritto d’autore e internet: « poi necessario dimostrare che il gestore fosse a conoscenza degli illeciti e che li incoraggiasse. Per quanto possa essere intuitivo che una parte dei contenuti catalogati da Pirate Bay fosse illecita, questo non implica che i suoi gestori fossero a conoscenza dell’illiceità di ogni singolo comportamento degli utenti. Dunque, il primo problema - pensando a un possibile effetto nell’ordinamento giuridico italiano - è se sia possibile configurare un concorso nel reato (o addirittura il vincolo associativo) nel caso in cui il gestore del motore di ricerca possa solo presumere l’esistenza del reato». [7]

Il copyright è un contratto che si stipula tra il titolare dei diritti e l’utilizzatore dell’opera. Monti: «In caso di violazione si dovrebbe essere condannati a pagare i danni e non andare in prigione. Se una persona non paga l’affitto viene sfrattata, non mandata in galera». [8] Luca De Biase: «Il timore generalizzato è che questo possa diventare un precedente per dare la possibilità di ottenere quello che alcuni governi, come quello francese (nonostante un recente incidente di percorso parlamentare) sembrano orientati a concedere: l’estensione della responsabilità nell’opera di stop allo scambio illegale di musica e film ai provider di accesso a internet e ai gestori delle piattaforme software che gli internauti usano, prevalentemente per scopi legali ma talvolta anche per violare la legge. Occorre qui vigilare che, anziché i pirati, non si fermi anche l’innovazione. Sarebbe come se il compito di prendere un ladro che corre in autostrada su un’automobile fosse del gestore dell’autostrada o del fabbricante dell’automobile, anziché della polizia». [9]

«La sentenza non è un deterrente», ha titolato l’edizione online del Times (in Gran Bretagna il pronunciamento dei giudici svedesi ha avuto una significativa eco) pubblicando un’analisi di Tom Whitwell, giornalista esperto di musica e di rete. Alessandro Sala: «Coloro che scaricano abitualmente file dal web ”non si sentono fuorilegge”, perché non fanno opera di copiatura con l’intento di delinquere, bensì perché questo ”è solo il modo più semplice” per acquisire musica e video. ”La sola vera minaccia alla pirateria online – fa notare Whitwell – negli ultimi anni non è arrivata da azioni legali o campagne educative, bensì dal successo di iTunes”, il sito lanciato da Apple per scaricare legalmente a basso costo singoli brani musicali o interi cd, il cui esempio è stato poi imitato da diverse altre piattaforme». [10]

Da un punto di vista pratico, concordano gli esperti, la sentenza svedese non avrà effetti. Luca Neri, autore La baia dei pirati, assalto al copyright (Castelvecchi): «Potrebbe contribuire però a creare i primi martiri di un movimento destinato a fare strada: loro non hanno nulla a che vedere con le prime esperienze puramente speculative come Napster o Kazaa, credono davvero nel valore morale del loro impegno». [4] Francesco S. Alonzo: «La maggioranza dell’opinione pubblica svedese ritiene durissima la condanna loro inflitta ed esageratamente elevato l’ammontare dell’indennizzo, tanto più che la Svezia si distingue nel mondo per il livello bassissimo (che alcuni definiscono addirittura ridicolo) dei risarcimenti in denaro imposti dai tribunali». [11] Stando agli accertamenti compiuti dalle autorità, nessuno dei tre pirati condannati possiede denaro o beni da porre sotto sequestro (tutti i soldi incassati con le inserzioni pubblicitarie sarebbero stati usati per la gestione e l’amministrazione del sito). [1]

Piuttosto che leggere le 107 pagine della sentenza che condanna Sunde & C., gli esperti consigliano di esaminare le 180 pagine che un think tank statunitense ha riempito di dati e considerazioni nella ricerca Film Piracy, Organized Crime and Terrorism. Umberto Rapetto, colonnello della Guardia di Finanza e comandante del Gat, Nucleo Speciale Frodi Telematiche: «Chi ha letto quel documento della Rand Corporation non riconosce nei ”pirati della Baia” i soggetti che gestiscono il business del contrabbando videofonografico nell’interesse del crimine organizzato e del terrorismo, ma ha piuttosto il comprensibile timore che la cannonata giudiziaria abbia affondato un gommone di ”bit-people”. Come se – una dozzina d’anni fa – qualcuno avesse interpretato il finto carrarmato a Piazza San Marco come un’invasione del suolo italico...». [12]

In pochi hanno valutato le controindicazioni di certe ”medicine” giuridiche. Rapetto: «La caccia ai ragazzini che si scambiano file ha indotto i teen-ager a sfruttare modalità sempre più blindate di connessione: quelle stesse tecniche oggi sono a disposizione di chi vuole ”offuscare” le proprie comunicazioni per finalità ben più criminali». [12] Comunque vada a finire, i pirati svedesi si sono assicurati un posto nella storia. Alessia Grossi: «Nel Museo della Tecnica di Stoccolma si potrà ammirare uno dei loro server sequestrato dalla polizia e acquistato dal Museo per 2.000 corone». [13]