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 2009  aprile 18 Sabato calendario

di MARCO GAMBARO * La sentenza con cui il tribunale di Stoccolma ha condannato in primo grado quattro animatori di Pirate Bay aggiunge un ulteriore tassello alla tormentata controversia sul file sharing

di MARCO GAMBARO * La sentenza con cui il tribunale di Stoccolma ha condannato in primo grado quattro animatori di Pirate Bay aggiunge un ulteriore tassello alla tormentata controversia sul file sharing. Promos­so nel 2003 da un’organizzazione anticopyright, Pirate Bay è diventato rapidamente uno dei mag­giori siti di file sharing e in certi momenti ha tota­lizzato oltre metà del traffico complessivo della tecnologia Torrent su cui si basa. La crescita degli utenti è stata altrettanto ampia e nel febbraio 2009 il sito dichiarava una punta di 23 milioni di utenti connessi contemporaneamente. Nonostante l’attenzione da cui era circondato il processo e l’ampio dibattito suscitato in rete, gli effetti pratici della sentenza sono modesti. In­tanto, trattandosi di un verdetto di primo grado, il sito resterà aperto. Inoltre, dopo il sequestro dei server avvenuto nel 2006 da parte delle auto­rità svedesi, Pirate Bay ha adottato un’architettu­ra decentrata per cui anche nel caso di chiusura di un server il servizio è in grado di ripartire in pochi minuti. Le case discografiche e cinematografiche che si sono associate alla causa, e che hanno ricevuto un modesto risarcimento dei danni, sono soddi­sfatte della sentenza soprattutto perché, se confer­mata, potrebbe rafforzare il principio che la copia di materiale coperto da copyright vada comun­que considerata un’illegalità. Difficilmente co­munque l’attività di file sharing potrà essere argi­nata e il precedente di una corte svedese non avrà valore in un altro stato. Quando nel luglio 2001 dopo un famoso processo Napster venne chiuso, sorsero diversi programmi peer to peer per la con­divisione dei file, tra cui Morpheus o Kazaa che hanno in poco tempo superato gli utenti di Nap­ster. Anche dal punto di vista legale questo caso pre­senta novità interessanti. Storicamente il riferi­mento normativo a cui si sono appellati i produt­tori di tecnologie utilizzate per copie non autoriz­zate era il caso Betamax. Quando la Sony nel 1975 lanciò il videoregistratore, le case cinematografi­che, in particolare Universal e Disney chiesero di vietarne la vendita. Il caso arrivò nel 1984 alla Cor­te suprema la quale stabilì che una società non poteva essere ritenuta responsabile per aver crea­to una tecnologia. Nel sistema anglosassone basa­to sui precedenti questa decisione ha consentito a molte altre tecnologie, tra cui personal compu­ter, masterizzatori e fotocopiatrici, di resistere agli attacchi dei proprietari dei contenuti. Pirate Bay funziona fornendo i link a siti e com­puter in cui i suoi utenti trovano il materiale da scambiare e copiare. Un’attività che, secondo i promotori del sito, è analoga a quella svolta dai motori di ricerca. Per cui, nel caso la condanna fosse confermata, sarebbe uno degli strumenti al cuore della rete ad essere messo in discussione. Col tempo emergerà una soluzione di compro­messo in grado di garantire ai produttori di conte­nuti forme di remunerazione, magari organizzate diversamente dal passato. Una soluzione che mantenga attrattivi gli investimenti per realizza­re i contenuti, ma che allo stesso tempo non in­gessi l’evoluzione tecnologica e le innovazioni che Internet è in grado di attivare. * Docente di Economia della comunicazione all’Università di Milano