Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La Fao ha pubblicato ieri le stime preliminari relative alla fame nel mondo. I dati sono questi: nel 2007 c’erano 923 milioni di persone che non avevano abbastanza cibo. Adesso sono diventate 963 milioni, 40 milioni in più (e 123 milioni in più rispetto al periodo 2003-2005). Il peggioramento, «drammatico quanto rapido», sarebbe stato provocato dall’aumento di prezzo delle materie prime. Il calo dei prezzi che pure s’è registrato all’inizio dell’anno è risultato poca cosa: di fatto la roba da mangiare costa adesso il 20% in più rispetto al 2006. Per i contadini ricchi, per coloro cioè dotati di capitali da investire, è stata una specie di manna: si vende molto meglio di prima. Per i contadini poveri, che non avevano la possibilità a questo punto di rifornirsi di sementi divenute troppo care, è stata una jattura: hanno praticamente smesso di coltivare. Bisognerebbe prestar loro dei soldi, dice la Fao, cioè ci vorrebbe una qualche banca o una qualche cordata di istituti di credito che abbia la voglia di sostenere economicamente questi contadini poveri. Ma la crisi che stiamo attraversando è soprattutto una crisi del credito, caratterizzata dalle parole “credit crunch”: chi ha i soldi – di suo o in prestito – se li tiene e non li fa girare. Alla fine la scontano i contadini afghani o dello Zimbabwe. Hafez Ghanem, il curatore del rapporto che stiamo citando, dice che il rischio di non dimezzare il numero di affamati entro il 2015, come ci si era proposti nel 1996, è alto.
• Queste introduzioni mi lasciano senza parole. Che cosa potrei domandarle?
Per esempio, perché a giugno, quando la Fao organizzò un vertice a Roma a cui partecipava anche Ahmadinejad, i numeri fossero diversi. Ci venne data una quantità di affamati pari a 854 milioni, +54 milioni rispetto alla data fatidica del 1996. Non so, c’è anche il fatto che questi numeri e questi argomenti vengono sempre resi noti sotto Natale, col sottinteso che robe così si affrontano col cuore in mano e la lacrima agli occhi. Ma non è affatto vero e il problema delle miserie del Pianeta richiede invece pensieri forti e azioni molto decise. Non è roba da santarelline.
• Quindi?
La prima questione è che l’Occidente compra poco dall’Africa e pretende che gli africani o i popoli del Terzo Mondo se la cavino praticando un’economia di sussistenza in loco, cioè coltivino e smercino al loro interno senza infastidire i grandi flussi del business mondiale. Lo ha ribadito ieri proprio questo Ghanem, senza forse rendersi conto di quello che diceva: «Gli esperti Fao hanno sottolineato che l’alto prezzo delle derrate può diventare un’opportunità di sviluppo per i milioni di piccoli agricoltori poveri: potrebbe infatti favorire l’espansione dei mercati regionali, creare nuovi posti di lavoro e rilanciare in modo sostenibile l’agricoltura del Sud del mondo».
• Cosa c’è che non va?
Mercati regionali? Ma se un mese fa la Corea del Sud s’è comprata mezzo Madagascar! Più esattamente: una filiale della multinazionale Daewoo ha affittato 1,3 milioni di ettari malgasci, fino al 2108 e senza pagare alcun canone. Valorizzeranno le terre, oggi savane non coltivate dove portano le pecore i pastori locali, e il governo di Tananarive – la capitale – si accontenterà. Manodopera localil, capi sucoreani e sudafricani. A est si produrrà olio di palma (mezzo millione di tonnellate l’anno), a ovest riso, quattro milioni di tonnellate l’anno su un milione di ettari. In totale la terra coltivata dovrebbe arrivare a 35 milioni di ettari, contro i due attuali. Quelli della Chiquita – la banana – hanno fatto sapere che intendono piazzarsi in Africa pure loro per aggirare gli ostacoli posti dall’Unione europea all’importazione di banane dall’America latina. Stessa cosa i paesi del Golfo: se ne vanno a coltivare in Africa perché far crescere il grano da loro, con tutto quel deserto, è troppo costoso.
• Mi sta dicendo che la soluzione del problema sono le multinazionali o la confisca delle terre d’Africa?
Non lo so. La Fao ha parlato di “neocolonialismo”, cioè ha reagito infastidita alla nascita di questo nuovo mercato, l’acquisto di enormi terreni per garantirsi gli approvigionamenti (l’appezzamento preso dai coreani in Madagascar è uguale a mezzo Belgio). D’altra parte, la cosiddetta beneficienza, cioè l’intervento esterno, quel fornire «sementi, fertilizzanti, mangimi, macchine agricole e simili» affinché i contadini si curino il loro campicello ha prodotto molto poco: lo ammette la stessa Fao!
• E allora?
Bisogna che il Terzo Mondo faccia da sé e per permettergli di far da sé dobbiamo farlo sedere al nostro stesso tavolo, quello dove si produce, si smercia e si consuma senza barriere. Ma c’è la crisi e questo renderà tutto più difficile. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 10/12/2008]
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