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 2008  dicembre 10 Mercoledì calendario

ROMA – «Nel ’97, la giunta dell’Associazione nazionale magistrati presieduta da Elena Paciotti mi convocò a Roma per un’audizione davanti ai probiviri

ROMA – «Nel ’97, la giunta dell’Associazione nazionale magistrati presieduta da Elena Paciotti mi convocò a Roma per un’audizione davanti ai probiviri... Mi chiamarono a causa delle interviste in cui avevo detto che la politica non era poi così corrotta come sembrava perché in Italia solo in un determinato periodo tutti i partiti, e sottolineo tutti, venivano finanziati in modo illegale e clandestino...». Il pm veneziano Carlo Nordio – che ha indagato dal ’92 al ’99 sui finanziamenti al Pci-Pds da parte delle coop rosse, chiedendo e ottenendo l’archiviazione per D’Alema e Occhetto nel ’99 – ricorda i tempi in cui rovistare tra le carte forse tralasciate da altri magistrati significava ritrovarsi da solo: «17 anni anni dopo, davanti a quello che succede ora, provo una profonda amarezza perché ancora si gioca su un grande equivoco quando si parla della cosiddetta questione morale». Eppure, oggi, anche a sinistra la questione morale in casa del Pd non è più un tabù. «Avendo indagato a fondo sul vecchio Pci posso dire che l’espressione "questione morale" è impropria, ambigua. Perché è stata usata da un partito che non aveva nessuna legittimazione a dare lezioni di moralità tenuto conto che il Pci veniva finanziato dall’Urss, ovvero da un Paese nemico. In senso strettamente politico, si può dire che neanche Berlinguer avesse la patente di moralità visto che i soldi al partito arrivavano dall’Unione Sovietica. Non esistevano partiti peggiori e partiti migliori: in questo senso Craxi aveva ragione ». Nel ’92-93, la procura di Venezia indaga sul sistema Veneto di ripartizione degli appalti – 40 alla Dc, 40 al Psi, 15 alle coop rosse, 5 ai laici – e poi, nel ’92, lei apre un filone sul Pci-Pds che nel ’99 portò alla sua richiesta di archiviazione per Occhetto e D’Alema. Come reagirono a Botteghe Oscure? «Ci tengo a fare un distinguo. Ricordo l’onorevole Pietro Folena che, al limite dell’oltraggio, ci dipinse come una "procura fascista". "Quel magistrato adotta metodi fascisti", disse e io, ancora, oggi, conservo il ritaglio. Diversa invece la reazione di D’Alema che nel ’95 ebbe l’avviso di garanzia: lui, pur criticando con la dovuta fermezza la nostra iniziativa, è stato molto corretto. E alla fine anche loro hanno riconosciuto che avevamo agito senza accanimento». Richiederebbe l’archiviazione per D’Alema e Occhetto? «Lo rifarei anche oggi perché il principio secondo il quale il segretario del partito "non poteva non sapere", per me, è un principio incivile. E poi non si può addebitare ai dirigenti il finanziamento illecito: lo stesso Di Pietro, che oggi sulla polemica tra procure difende l’indifendibile, da pm trovò il miliardo arrivato a Botteghe Oscure ma poi non riuscì a trovare a chi era andata la valigetta... La responsabilità penale è personale». Che lezione da quell’inchiesta? «Nessun amministratore del Pci e dei Ds ha preso una lira per sé perché tutto l’eventuale finanziamento illegale era per il partito». Un cavallo di battaglia della sinistra. «Chi prende soldi per il partito commette, secondo una morale politica, un doppio peccato: defrauda risorse pubbliche e, poi, le devolve a un partito che non è quello dei defraudati. A quell’epoca, l’unico che mi diede ragione fu il collega Michele Coiro che, tra l’altro, era tra i fondatori di Magistratura democratica». Come finì quella convocazione dei probiviri dell’Anm? «Restai a Venezia e feci un’intervista al Tg1: "Io a Roma non ci vengo neanche dipinto perché era un metodo stalinista", dissi. E loro lasciarono cadere la cosa. Nel ’97, l’Anm guardava con sospetto un magistrato che indagava in quel settore e che, soprattutto, si esprimeva in modo diverso dagli altri. Oggi, per fortuna, i tempi sono cambiati».