Augusto Minzolini, La Stampa 10/12/2008, pagina 1., 10 dicembre 2008
La Stampa, mercoledì 10 dicembre 2008 Due giorni fa, sulla giustizia, Pier Ferdinando Casini, aveva usato parole che sono musica per le orecchie del Cavaliere: apertura di un tavolo di confronto tra maggioranza e opposizione sulle riforme e conseguente esclusione di Antonio Di Pietro
La Stampa, mercoledì 10 dicembre 2008 Due giorni fa, sulla giustizia, Pier Ferdinando Casini, aveva usato parole che sono musica per le orecchie del Cavaliere: apertura di un tavolo di confronto tra maggioranza e opposizione sulle riforme e conseguente esclusione di Antonio Di Pietro. E ieri in un’intervista per il mensile «Pocket», Silvio Berlusconi ha lanciato verso gli ex dc un segnale di disgelo: «Per Casini le porte del Pdl non sono aperte, sono spalancate. Casini ha deciso di non far parte della Pdl e ha scelto una strada che lo sta portando su posizioni che hanno deluso elettori ed ex dirigenti dell’Udc. Speriamo che cambi idea». E’ il segno dei tempi che cambiano. Una volta la giustizia era il tipico argomento che veniva utilizzato dagli avversari per isolare ed emarginare il Cavaliere. Oggi dopo lo scontro tra Procure e il divampare dell’incendio della Tangentopoli rossa, avviene l’esatto contrario: la politica della giustizia è uno strumento nelle mani di Berlusconi per «destrutturare» l’opposizione. Appunto, i ruoli si sono capovolti: una volta il pm-sceriffo era considerato da buona parte dell’opinione pubblica il giustiziere, il Bene; oggi, secondo il premier, ci sono tutte le condizioni per assegnargli la parte del Male, per compiere quella rivoluzione culturale indispensabile per garantire il consenso necessario a una profonda riforma in senso «garantista» della giustizia. Le macerie fumanti del nostro sistema giudiziario che si sono abbattute sul Pd, infatti, offrono argomenti al premier per riattrarre Casini nella sua orbita, per spingere Veltroni a scegliere e a non rifugiarsi nel tradizionale «ma anche», per isolare l’estremismo Di Pietro trasformando l’Idv in una forza quasi eversiva. Si tratta di un piano ambizioso, che magari non centrerà tutti i suoi obiettivi, ma il Cavaliere non ha nulla da perdere a provarci. Anzi. Questa partita che farà giocare «in primis» al capo delle colombe della maggioranza, Gianni Letta, in ogni caso gli verrà utile per dimostrare alle varie cariche istituzionali che lui la carta del dialogo l’ha provata. Anche se in fondo non ci ha mai creduto, né ci crede ora. Ieri, infatti, il Capo dello Stato nel vertice con i ministri che si è svolto al Quirinale ha fatto l’ennesima predica al premier: «Mi raccomando - ha detto il Presidente al suo interlocutore - sulla giustizia fai una cosa condivisa». Una raccomandazione che Berlusconi ha accolto con il solito scetticismo che riserva all’argomento: «Questi dell’opposizione non sono affidabili. Non lo vedi? Mi attaccano, mi prendono in giro, mi insultano tutti i giorni sulle tv, sui giornali. Sono il bersaglio preferito...». Così a Napolitano non è rimasto che dispensare un consiglio che, conoscendo la storia di Berlusconi, non può non apparire paradossale: «Fai come me, che non guardo più i talk-show con i politici...». Questo non significa, però, che il Cavaliere non farà la sua parte. Lui pone due condizioni: una riforma che deve essere approvata in tempi brevi e che non si perda né venga annacquata da un confronto bizantino e inconcludente con l’opposizione. Non per nulla il premier, malgrado le «riserve» ad intermittenza di Bossi, continua a spingere il piede sull’acceleratore: nel prossimo consiglio dei ministri sarà approvato il provvedimento che amplia i poteri della polizia giudiziaria (cioè di un organismo che dipende dall’esecutivo) rispetto alle prerogative dei pm e che ha già fatto storcere il naso all’opposizione; nella stessa riunione o subito dopo Natale (dipende dai tempi tecnici) potrebbero arrivare dal governo le proposte di riforma del Csm e della separazione delle carriere tra giudici e pm. Inoltre Berlusconi non ha archiviato neppure l’intenzione di rimettere mano in Parlamento al disegno di legge che si occupa della intercettazioni telefoniche, riducendo alla criminalità organizzata e al terrorismo le ipotesi di reato nelle quali possono essere utilizzate nelle indagini. «L’attuale testo - ha ripetuto la settimana scorsa ad Enrico Costa, deputato di Forza Italia - non mi piace. Sono ammesse in troppi reati». Su questo ultimo punto anche Niccolò Ghedini, consigliere principe del premier per gli affari di giustizia, che ieri sera è tornato a Palazzo Grazioli è scettico. «La Lega - ha confidato - continua a sbarrarci la strada». Ma come spesso avviene il premier insiste in una richiesta per portarne a casa un’altra. E intanto gioca la partita per «destrutturare» l’opposizione e il Pd. «Di là - fa presente Ghedini - non abbiamo un interlocutore credibile. Violante ha fatto delle aperture. Addirittura Mantini è andato più avanti. Ma poi il ministro ombra, Tenaglia, ha chiuso tutte le porte». Ecco perché nel rimpiattino delle ipotesi che gli ambasciatori dei due schieramenti stanno esaminando per mettere in piedi un dialogo proficuo, Ghedini, ha inserito anche quella di un incontro in prima persona tra Berlusconi e Veltroni. Se l’ipotesi, come è probabile, non sarà possibile si potrebbe ripiegare su incontri tra tecnici o magari tra il ministro Alfano e il ministro ombra del Pd. L’ unica cosa certa è che le tante variabili non contemplano la presenza di Di Pietro in nessuna salsa. «E’ un nome - è l’ordine del Premier - che non voglio neppure sentire nominare. Se Veltroni non rompe con lui non ha nessuna intenzione di collaborare». Augusto Minzolini