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 2008  dicembre 10 Mercoledì calendario

La Fiat ha prodotto nel 2007 poco più di 2,5 milioni di veicoli. Se davvero entro pochi anni sopravviveranno soltanto le imprese capaci di produrne 5,5-6 milioni, come ha dichiarato l´Amministratore delegato Sergio Marchionne, le scelte che si aprono al gruppo torinese sembrano ristrette

La Fiat ha prodotto nel 2007 poco più di 2,5 milioni di veicoli. Se davvero entro pochi anni sopravviveranno soltanto le imprese capaci di produrne 5,5-6 milioni, come ha dichiarato l´Amministratore delegato Sergio Marchionne, le scelte che si aprono al gruppo torinese sembrano ristrette. necessaria un´alleanza o una fusione con un gruppo o due che producano più di 3 milioni di unità. Esclusa una sommatoria Fiat più Bmw più Daimler (Mercedes) che tornerebbe sul piano dell´aritmetica, visto che la produzione delle due tedesche nel 2007 ha superato di poco i 3 milioni, ma non sotto il profilo industriale per evidenti ragioni di incompatibilità incrociate, non restano molte alternative. La Volkswagen è già sopra quota 6 milioni; il gruppo Renault-Nissan vi è prossimo. Inoltre è poco probabile siano interessati a legarsi con un gruppo come Fiat che fa grosso modo il loro stesso mestiere. I tre big americani sono in crisi, e forse finiranno per fondersi tra loro. Per arrivare alla cifra indicata da Marchionne rimangono quindi un gruppo europeo, Psa Peugeot Citroen, con quasi 3,5 milioni di unità, uno giapponese, Honda, e uno sud-coreano, Hyundai-Kia, ambedue non lontani dai 4 milioni. In teoria Fiat potrebbe anche cercare di integrarsi con diversi costruttori minori, tutti giapponesi, ma simili progetti a partecipazione multipla vanno di solito incontro a serie difficoltà. Le cifre sono noiose. Però servono a capire che Fiat si trova dinanzi alla prospettiva di entrare in un gruppo assai più grande di lei. Essere minoranza, seppur robusta, in un gruppo industriale significa aver meno potere in tema di investimenti, strategie di marketing, localizzazioni produttive, scelta dei fornitori di componenti e sistemi; i quali vanno a comporre, va notato, più dei due terzi del valore di un´auto. Una possibile perdita dell´indipendenza del gruppo italiano - che lo stesso Marchionne ha lasciato intravedere nelle sue dichiarazioni - avverrebbe in un momento in cui l´industria automobilistica mondiale è in crisi non soltanto per la ricaduta dei disastri finanziari dell´ultimo anno, ma anche perché si sta probabilmente chiudendo un ciclo storico. Sembra iniziato il declino dell´età del petrolio, e con essa delle auto che fanno 10 chilometri con un litro, pesano mediamente tra una e due tonnellate, e sempre in media trasportano poco più di una persona. Non soltanto: al presente sono anche veicoli che nel corso del processo produttivo consumano enormi quantità di energia e di acqua: due metri cubi per vettura. Dopodiché il loro uso in massa favorisce l´espansione illimitata di insediamenti suburbani a bassa densità di popolazione, con case monofamiliari, che consumano a loro volta una quantità eccessiva di terreni fertili e di altre risorse non rinnovabili. In questo quadro per Fiat non si tratta soltanto di uscire dalla crisi trovando alleanze con partner dalle dimensioni e caratteristiche opportune, guardando a quando la situazione tornerà alla normalità. La normalità del futuro sarà tutt´altra cosa. Il processo di concentrazione dei costruttori finali richiederà inevitabilmente un processo analogo a carico delle aziende che fabbricano componenti e sistemi, in cui lavorano due su tre di tutti gli addetti alla produzione automobilistica. Occorre chiedersi cosa farà a questo riguardo la Fiat, avendo tre strade davanti a sé: cercare di difendere la componentistica italiana, che potrebbe rifornire anche il socio di maggioranza; aumentare la domanda di componenti rivolta all´estero, nei paesi a basso costo del lavoro; oppure subire quello che il socio di maggioranza imporrà. La eventuale perdita dell´indipendenza di Fiat presenta quindi per l´economia italiana rischi su due fronti. Anzitutto può accadere che il management del futuro super-gruppo automobilistico, la cui sede sarà inevitabilmente all´estero, ad un certo punto giudichi che la produttività di Mirafiori, Melfi, o Termini Imerese, sia insufficiente a paragone di altri stabilimenti localizzati chissà dove, per cui lo stabilimento italiano va chiuso. In secondo luogo può succedere che le commesse dirette ai fabbricanti italiani di componenti e sistemi scendano verso lo zero, ne sia causa un´imposizione da fuori o un calcolo interno. Se, come sembra inevitabile, la Fiat è avviata a diventare parte di un gruppo in cui sarà minoritaria, al fine di contenere quei rischi dovrà mettere sul tavolo capacità di innovazione tecnologica, di prodotto e di processo, e invenzioni organizzative per vari aspetti straordinarie, in modo da esercitare un peso sulle strategie del nuovo gruppo maggiore di quanto non le verrà assegnato dalla sua quota di capitale. Per finire, ancora due cifre. Poco più di dieci anni fa Fiat produceva quasi 3 milioni di veicoli nel mondo, la Volkswagen non molti di più. Al presente il gruppo tedesco supera i 6 milioni, quello italiano è sceso a 2,5. Che cosa ha fatto la differenza? Certo la qualità e le scelte delle rispettive direzioni. Ma anche la presenza sul Reno, e l´assenza da noi, di qualcosa di simile a una politica industriale.