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 2008  dicembre 10 Mercoledì calendario

MILANO – A

tredici anni, dopo le medie, non ne voleva più sapere del latino. «Basta con le declinazioni e i verbi irregolari», disse il giovane Piergiorgio Odifreddi. Quindi scelse: istituto tecnico per geometri. Come suo padre. A Cuneo, nella città natale. iniziato tutto così. Cinque anni di superiori1964, dal al 1969. Poi l’università, la laurea in matematica, l’insegnamento nelle cattedre più prestigiose (nelle università di Torino, Alessandria, Siena, Milano, alla statunitense Cornell), i saggi, i premi, la stima di tutto il mondo accademico, la fama. Carriera inaspettata per un geometra? Tutt’altro. Ci sono tanti altri periti doc che fanno grande l’Italia. Da Alfio Quarteroni, matematico del team Alinghi, a Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia.
Geometri, ragionieri, meccanici, edili. Diventati amministratori delegati, manager, imprenditori, ingegneri, architetti. E professori universitari. Come Odifreddi. Che racconta il suo percorso scolastico. «Ero il primo della classe (in certe materie, come topografia, avevo addirittura 10). Alla maturità sono risultato il migliore dell’istituto, con il voto di 50 sessantesimi: era il primo anno che si faceva il nuovo esame e dare 60 sarebbe stato come dire che si aveva la media del 10: un’assurdità, per coloro che la pensavano ancora alla vecchia maniera».
Curriculum perfetto e qualche consiglio ai ragazzi che entro febbraio dovranno iscriversi alle superiori: «L’istituto per geometri fornisce un classico insegnamento tecnico che dunque abitua a ragionare e a rimanere coi piedi per terra». Stoccata ai «sapientoni» dei licei classici: «Non fanno altro che insegnare a credere che le cose importanti siano quelle che non stanno né in cielo né in terra ».
Pratica contro teoria. Anche se non è vero che al tecnico si sta solo in laboratorio: «Ricordo che un giorno la professoressa di italiano ci diede un tema su Alessandro Manzoni. Lo trovavo uno scrittore insopportabile, ho fatto un proclama contro di lui e la sua poetica. Quando la docente ci restituì il compito in classe, mi disse che le mie idee erano opinabili, ma mi diede comunque 8 per lo svolgimento».
La letteratura, però, piaceva al giovane Odifreddi: «All’epoca amavo ancora moltissimo Dante, che ho letto sette o otto volte per intero nel corso della mia vita». Ora, invece, «mi ha un po’ stufato pure lui, soprattutto da quando mi sono accorto che insegnarlo obbligatoriamente nelle scuole di ogni ordine e grado, con la scusa che è il più grande scrittore italiano, in fondo è solo un modo per rifilare agli studenti un bel po’ di religione in più mascherata da materia umanistica».
Vis anticlericale e un ammiccamento ai «colleghi scienziati». A uno in particolare: «Forse sarebbe ora di sostituire Dante, o almeno Manzoni, con Galileo. Gli studenti ci guadagnerebbero. Italo Calvino, che non era un geometra e se ne intendeva, lo definiva il più grande scrittore italiano».
Provocazioni, spunti di riflessione, ricordi del passato. Insomma Odifreddi, inviterebbe un giovane brillante a frequentare l’istituto tecnico anziché il liceo? «Certamente – risponde lui – anche se non credo che il liceo sia necessariamente deleterio. In fondo, la penso come Edward Gibbon, il Voltaire inglese (autore di «Declino e caduta dell’impero romano»). Diceva che la scuola è sempre inutile, eccetto nei casi in cui sarebbe superflua».
A. Sac.