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 2008  dicembre 10 Mercoledì calendario

WASHINGTON

«Se non è nazionalizzazione, ci è vicina ». Così il New York Times
ha ieri definito il pacchetto di 15 miliardi di dollari di aiuti all’industria dell’auto, per la precisione alla General Motors e alla Chrysler (per il momento la Ford ha detto di non averne bisogno) da affidare a uno «zar» di nomina presidenziale, pacchetto concordato in linea di principio dal Congresso e dalla Casa Bianca, ma ancora oggetto di loro trattative. Su di esso, mancava una intesa finale a tarda sera, ma con Detroit sull’orlo della bancarotta, e con le vacanze natalizie alle porte, entrambe le parti la davano per certa entro 24 ore. «Bisogna salvare l’auto, con l’indotto sono in gioco tre milioni di posti di lavoro», è stata la parola d’ordine della Camera che sperava di votare oggi, e del Senato, che contava di votare domani, in modo da consegnare i sussidi statali il 15.
La maratona negoziale ha nuociuto alla Borsa spingendo il Dow Jones al ribasso del 2,6%, ma è proseguita in un clima di forti aspettative grazie al piano di rilancio economico del presidente eletto Obama. In un gesto di fiducia negli Usa, le banche centrali straniere hanno acquistato ben il 47,2% dei titoli di Stato americani alla vendita trimestrale del ministero del Tesoro, sebbene essi siano scesi a tasso zero a causa della domanda record. La vendita ha totalizzato 30 miliardi di dollari: quasi un regalo agli Usa, dovuto alla certezza che gli investimenti non andranno persi.
Il pacchetto per l’auto doveva essere firmato da W. Bush lunedì, ma il presidente lo ha ritardato perché, come molti conservatori al Congresso, lo ritiene avvelenato. Secondo Bush, i 15 miliardi di dollari, di cui grosso modo otto alla General Motors e sette alla Chrysler, andrebbero erogati solo se le due case dimostrassero di potersi riprendere a medio termine, cosa che sinora non sono riuscite a fare. Il presidente nutriva anche riserve sugli «eccessivi poteri dello zar». Lo «zar», che stando alla speaker della Camera Nancy Pelosi dovrebbe essere il mitico ex governatore della Riserva Federale Paul Volcker, consigliere di Obama, controllerebbe la ristrutturazione dell’industria e tutte le operazione di oltre 25 miliardi, e revocherebbe gli aiuti statali se Detroit venisse meno ai patti. Una specie di commissariamento che sa di statalismo e disconosce le regole del libero mercato tanto care a Bush e ai conservatori, e che ha suscitato una tempesta nel mondo politico e industriale.
Nazionalizzazione o no, l’intervento statale a favore di Detroit potrebbe diventare un modello per l’Europa, come ha dimostrato ieri la Germania, dove la Volkswagen, peraltro in buona salute, ha chiesto accesso al pacchetto di 500 miliardi stanziato dal governo per la finanza in crisi. Il colosso europeo dell’auto afferma di svolgere attività finanziaria tramite le sue controllate, la VW Bank e la VW Financial service, e vuole che esse ricevano aiuti per i crediti erogati nelle vendite automobilistiche. La Volkswagen si è mossa sulla scia della Opel tedesca, di proprietà della General Motors, che ha già chiesto allo stato un miliardo di euro. Non è escluso che la seguano la BMW e la Daimler con la sua controllata, la German Bank: la prima ha dichiarato di stare valutando le proprie opzioni, la seconda, che in precedenza era parsa disinteressata, ha detto che riesaminerà la questione.
Per l’America liberista è una svolta storica. L’America guarda allo «zar», che di autorità ristrutturerà Detroit a marzo se non si sarà ancora riformata, come a un Grande fratello. E non a torto: le condizioni per riscuotere i 15 miliardi sono dure, tetti ai compensi dei manager, niente jet privati, zero dividendo agli azionisti, partecipazione azionaria del 20% allo stato, e così via. Non avveniva, ha ricordato il New York Times, dai tempi del presidente Truman, che nel 1952 nazionalizzò le acciaierie per evitare scioperi durante la guerra di Corea. Ma non è sufficiente a placare l’indignazione popolare. I media chiedono la testa di «big» come Rick Wagoner, il presidente della General Motors (forse per questo, con una iniziativa senza precedenti, la Gm ha porto le scuse al pubblico per averne tradito la fiducia). E per non essere travolta, la Ford negozia la vendita della Volvo niente meno che con una compagnia di Stato cinese, la Changan.
Manager
Richard Wagoner di Gm (primo a sinistra), Alan Mullaly di Ford (secondo da destra) e Bob Nardelli di Chrysler (primo a destra). Nella foto a destra, Paul Volcker Ennio Caretto