Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Domani lutto cittadino a Torino, per i quattro operai morti nel rogo della ThyssenKrupp di corso Regina Margherita. I metalmeccanici della provincia e tutti i dipendenti della Thyssen in Italia si asterranno dal lavoro per otto ore, in segno di lutto e di protesta. Gli altri lavoratori torinesi sciopereranno per due ore e parteciperanno a una manifestazione con la presenza dei leader nazionali di Fim, Fiom e Uilm. Ieri, da Lisbona, il presidente del Consiglio Romano Prodi ha detto che quella dei morti sul lavoro «è una vera emergenza nazionale. La Thyssen dovrà chiarire tutto quello che c’è da chiarire senza reticenza alcuna. Due ministri sono impegnati per far luce, insieme alle autorità competenti, su quanto accaduto, e noi vogliamo che quella luce sia totale e rapida». Il presidente Napolitano, che ha espresso tutto il suo dolore già l’altra mattina, denuncia fin da maggio il problema delle morti sul lavoro, invitando forze politiche, sindacati e giornali a considerarlo un’emergenza nazionale. I morti sul lavoro sono stati fino al 31 agosto 811, sette in più dell’anno scorso. A parte il costo umano – di valore incalcolabile – la comunità paga per questi infortuni, tra risarcimenti e danno alla produzione, 40 miliardi l’anno.
• Qualcuno della Thyssen verrà chiamato in giudizio?
Ieri s’era s’è saputo che la Procura di Torino sta per emettere due o tre avvisi di garanzia. La legge italiana prevede una doppia responsabilità: quella di chi stava sul posto e che potrebbe aver trascurato le misure di prudenza previste dalla legge e quelle dell’azienda. Si tratta di due procedimenti diversi e paralleli e non si conosce, al momento, l’orientamento dei giudici. Ma è facile immaginare la difesa della Thyssen. Sosterrà che il primo operaio, Antonio Schiavone, è sceso nella fossa sotto il macchinario di sua spontanea volontà. E non ha fermato i macchinari, come vuole la procedura. Se si fosse comportato così, e avesse fatto allontanare tutti, non ci sarebbero state vittime.
• Ma è una tesi scandalosa. Gli estintori erano mezzi vuoti e non hanno funzionato. E gli operai stavano lavorando da dodici ore almeno, se non sedici!
Gli avvocati della Thyssen, al momento del processo, tenteranno di mettere in secondo piano questi elementi. Al momento del processo – cioè tra qualche anno – i giornali si occuperanno d’altro, e anche se seguissero il dibattimento l’azienda si impressionerebbe assai poc l’Italia non è al centro del suo impero, a Terni volevano chiudere e si sono rassegnati a tenere aperto solo in cambio dello smantellamento di Torino. Non hanno in Italia che 3.500 dipendenti, una goccia nel mare dei 190 mila addetti distribuiti in 70 Paesi. Quest’anno hanno guadagnato, prima delle tasse, 3,3 miliardi, +27 per cento rispetto all’anno scorso. Fatturano 55 miliardi l’anno, con un incremento più basso dell’utile (+8%), il che significa che hanno ben tagliato sul lato dei costi. Anche sui costi della sicurezza? Loro dicono di no e mostrano grafici in base ai quali, nel complesso del loro impero, «l’indice di frequenza di infortuni indennizzati passa da un valore 53 del 1995 a un valore 19 del 2003».
• Va a finire che bisognerà anche chiedergli scusa.
A Torino le responsabilità politiche della Thyssen sono enormi. Ma le responsabilità politiche entrano poco nella valutazione delle responsabilità penali. Schiavone, se fosse vivo, spiegherebbe che fermare i macchinari significava consegnare automaticamente se stesso e i suoi compagni alla cassa integrazione. E lui stava lì da dodici ore perché gli era nato da poco un terzo figlio e aveva bisogno di lavorare. Inoltre, il turno successivo era scoperto e non si potevano lasciare le macchine e perciò lui e gli altri stavano prolungando l’orario. La Thyssen dirà anche che gli estintori vuoti erano il risultato di imprudenze commesse dal repart avevano adoperati in precedenza gli estintori e poi non li avevano ricaricati, mettendoli fuori uso.
• Se Torino doveva chiudere, perché questi lavoratori stavano così sotto pressione?
Perché s’era rotta una linea a Terni e la lavorazione era stata trasferita in tutta fretta a Torino. I lavoratori erano pressati perché la Thyssen non voleva pagar penali al cliente. Quindi straordinari e affanni di tutti i tipi per portare a casa qualche euro in più. La Thyssen torinese avrebbe chiuso definitivamente tra febbraio e ottobre, Non erano rimasti che 400 lavoratori, 200 dei quali già sistemati.
• Non poteva qualche ispettore accorgersi che gli estintori erano vuoti, che insomma la fabbrica non lavorava in sicurezza?
A Torino ci sono una cinquantina di ispettori per 68 mila imprese. E alcuni di questi, come ha scritto ieri Gramellini sulla Stampa, fanno anche i consulenti delle ditte che dovrebbero controllare. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 8/12/2007]
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