La Stampa 09/12/2007, pag.19 FRANCESCO SISCI, 9 dicembre 2007
Il generale superstizioso e la maledizione dei monaci. La Stampa 9 Dicembre 2007. PECHINO. Uno come lui, con una fede intrisa di superstizione, con la paranoia delle maledizioni e del malocchio, non può certo dormire sonni tranquilli, dopo quello che è successo a settembre
Il generale superstizioso e la maledizione dei monaci. La Stampa 9 Dicembre 2007. PECHINO. Uno come lui, con una fede intrisa di superstizione, con la paranoia delle maledizioni e del malocchio, non può certo dormire sonni tranquilli, dopo quello che è successo a settembre. Than Shwe, l’uomo forte della giunta birmana, il generale che ha dato l’ordine di sparare sui monaci, di massacrarli a bastonate, di arrestarli e torturarli in massa, ora teme, fortissimamente, una nemesi implacabile. Perché i buddhisti birmani, e anche il generale, sanno che quelle azioni hanno addensato su di lui un cattivo karma, per non parlare delle maledizioni che ogni giorno gli piovono sulla testa lanciate da una popolazione esasperata dalla grave crisi economica e dalla repressione. Gli unici che potrebbero proteggerlo da quel diluvio di energie negative sono proprio i monaci, potenti talismani contro il malocchio, ma ora non molto propensi ad aiutarlo. Secondo voci diffuse dai dissidenti birmani all’estero il capo della giunta militare al potere, Than Shwe, sta male per la serie di ingiurie e maledizioni scagliate contro di lui dopo le dimostrazioni di settembre. I monaci picchiati a sangue, il loro rifiuto di ricevere le elemosine, essenziali nella religione buddhista del posto per procurarsi misericordia per questa vita e la prossima, sono la ragione del cattivo «karma». Che tradotto in italiano significa malocchio, sfortuna, iettatura, scalogna, iella sulla testa del 74enne Shwe. Del resto, chi di superstizione vive, di superstizione può morire. Shwe è estremamente scaramantico, ha spostato la capitale apposta, dalla «iellata» Rangoon a Napidaw, nel cuore della giungla, su consiglio del suo indovino preferito. Secondo la tradizione, i monaci buddhisti, che hanno guidato le proteste anti governative dei mesi scorsi, hanno potere di curare dal malocchio l’umanità, e avrebbero tolto la loro sacra protezione a Shwe. Shwe è stato male alla fine dell’anno scorso, quando fu ricoverato a Singapore per un trattamento urgente. Soffriva di problemi cardiaci, dolori al petto e qui avrebbe rifiutato di sottoporsi a un intervento chirurgico rischioso. Shwe è affetto da diabete e ipertensione, ma invece di dare fiducia al medico si rivolse al suo astrologo di fiducia che gli sconsigliò l’operazione. Oggi Shwe soffrirebbe invece di una specie di esaurimento nervoso. Una delle ragioni del suo abbattimento, secondo le notizie che arrivano da Rangoon, sono le pressioni di Pechino, scontenta del suo alleato e protetto: emissari cinesi hanno esposto a Shwe la necessità di fare avanzare un piano di riforme economiche, che ridia energia al Paese. Inoltre i cinesi hanno insistito per un concreto programma di democratizzazione della nazione in sette fasi. Un altro colpo è arrivato dopo un rapporto della agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo, la Undp. Il rapporto sottolineava i fallimenti di gestione economica del Paese. Le «dimissioni» di Shwe per ragioni di salute non sarebbero una novità. Anche dopo la repressione del movimento democratico del 1988, l’allora uomo forte del regime Saw Maung si ammalò, e anche allora la colpa fu data alla iella che si era tirato addosso dai dimostranti. La sua malattia diede l’occasione a Shwe di prenderne il posto. Maung morì poi due anni dopo, non si sa se per i fiati malefici degli iettatori o per la mano concreta del suo successore. Ma è difficile che la morte di Shwe, o anche semplicemente il suo pensionamento politico, inneschi il ritiro dei militari dalla politica birmana. I generali hanno guidato il governo del Paese dal momento della sua indipendenza dagli inglesi e non hanno mai dato cenni di volere cedere il potere. Né si può fare troppo affidamento sul buon cuore o la buona coscienza di altri generali. I militari del Paese sono una classe di falchi, cresciuta attraverso crudeli lotte interne e addestrati con la repressione dei vari movimenti indipendentisti delle minoranze nazionali birmane. Neppure c’è da fare troppo affidamento sulla iettatura. Come spiegano i manuali del malocchio contro ogni maledizione, anche la più potente e popolare, c’è un rimedio, uno scongiuro. I generali birmani per questo certo mantengono una legione di maghi, indovini, astrologi. Per reprimere le folle riottose si affidano però non a impalpabili maledizioni ma a corporei e concreti colpi di fucile. Di certo in questa situazione ci sarebbe bisogno di un miracolo per scuotere il giogo della repressione. In attesa del miracolo, i dissidenti birmani contano almeno che la buona sorte gli aiuti a sbarazzarsi di Than Shwe per riaprire i giochi, scompigliare le carte. Al momento i colloqui tra la giunta e il capo dell’opposizione, il premio Nobel Aung Sang Suu Kyi, agli arresti domiciliari, non fanno progressi significativi. La crisi economica, che ha scatenato le proteste antigovernative, peggiora e non ci sono segni di una svolta. La malattia di Shwe potrebbe aprire una voragine nel cuore della regione, stretta tra Cina, India e Sud-Est asiatico. FRANCESCO SISCI