Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’11 ottobre 1962, cinquant’anni oggi, si aprì a Roma il Concilio Vaticano II, un evento ben vivo ancora tra noi e intorno al quale non cessano le discussioni, le polemiche, le nuove interpretazioni.
• Che cosa s’intende, esattamente, per “concilio”?
Riunione di vescovi. Riunione di vescovi locali, e in questo caso si parlerà preferibilmente di “sinodo”. Oppure riunione dei vescovi di tutto il mondo, e in questo caso si tratterà piuttosto di concilio ecumenico. Quello che ebbe inizio cinquant’anni fa, e che durò poi fino al 1965, porta il numero progressivo di “secondo” (era in realtà il ventunesimo dall’inizio della storia). C’era stato infatti un Concilio ecumenico Vaticano primo, convocato da Pio IX nel 1868 e celebre per aver sancito il dogma dell’infallibilità del Papa in materia di fede e di morale, e per aver articolato una posizione anti-modernista della Chiesa che durerà appunto fino al Concilio Vaticano II.
• Che significa “antimodenista”?
Il papa che aveva preceduto Pio IX, cioè Gregorio XVI, aveva giudicato le ferrovie un’invenzione del demonio. Il nuovo pontefice, cioè Pio IX, salito al soglio nel 1846, passato un primo periodo di innamoramento liberale (si trattò soprattutto del cedimento a suggestioni esterne proprie di un carattere debole), schierò la Chiesa contro le filosofie razionaliste, liberali, materialiste. L’Occidente cresceva tumultuosamente, spinto dalla capitalistica logica del profitto, tutto veniva messo in dubbio, il principio di autorità era in crisi, il socialismo e la sua visione di un mondo senza Dio si allargavano a macchia d’olio proprio tra le masse popolari, patrimonio spirituale esclusivo fino ad allora dei parroci… Pio IX, che aveva già perso quasi tutti i suoi territori (il cosiddetto potere temporale) e che due anni dopo avrebbe visto i cavalli degli italiani bere nelle fontane della città, si opponeva con tutte le sue forze all’implacabile avanzare dei tempi. Diciamo che l’antimodernismo segnò la storia della Chiesa fino al tempo di Pio XII incluso, non venendo intaccato, come pensiero di fondo, nemmeno dal ritorno dei cattolici alla politica e dalla riconciliazione con lo Stato italiano del 1929.
• Poi arrivò questo Concilio Vaticano II.
Proprio così. Un concilio di svolta, in cui la Chiesa si proponeva di meditare su se stessa e sul suo tempo, sul rapporto con gli altri cristiani e con le altre religioni, sul proprio apparato liturgico e sullo stile con cui si manifestava ai fedeli, sul dialogo col mondo laico, e con l’ateismo, e col socialismo… Era il 1958, pochi anni e sarebbero arrivati la pillola, la minigonna, i Beatles, la contestazione di Berkley precorritrice del Sessantotto. In Italia il partito socialista stava per essere accolto nella maggioranza di governo. Fanfani, artefice di quella svolta, avendo incontrato Giovanni XXIII su un treno, gli chiese che cosa pensasse dell’eventuale alleanza tra il Psi marxista e la Dc cattolica. E il papa avrebbe risposto: «Vede quei due uomini che camminano laggiù? Non è troppo importante da dove vengono. È importante dove vanno».
• Giovanni XXIII è il papa del Concilio.
Già. Era stato eletto da appena tre mesi, aveva 72 anni e lo avevano scelto con l’idea di mettere in trono un pontefice di transizione, che avrebbe dato il tempo alla Curia, dilaniata come sempre dalle lotte interne, di trovare un punto di accordo. Fu invece, probabilmente, il più grande papa del Novecento: convocò il concilio, aprì i lavori l’11 ottobre del 1962 e la sera di quel giorno, dopo una mattinata in cui il mondo aveva assistito attonito all’apertura del portone di bronzo e alla sfilata di 2.498 padri conciliari vestiti di tutti i colori, s’affacciò alla finestra e pronunciò il famoso discorso: «Ritornando a casa, date una carezza ai vostri bambini, dite loro che questa è la carezza del Papa…». Papa Giovanni morì pochi mesi dopo (3 giugno 1963) e il suo successore, Paolo VI, condusse in porto con energia i lavori, che si conclusero, come le ho detto, nel 1965, segnando la nascita di una Chiesa aperta, sorridente, fiduciosa nel futuro, una Chiesa che voleva bene all’umanità. Questo del resto aveva auspicato, scagliandosi contro i profeti di sventura, lo stesso Giovanni.
• Come mai lei sostiene che il Concilio è fonte di polemica ancora oggi?
Il Concilio ebbe, tra le sue tante consguenze, anche quella di creare, all’interno della Chiesa, due partiti. Questi due partiti, da allora, si combattono senza esclusione di colpi. Sono il partito della conservazione o della tradizione, e il partito dell’apertura, della contaminazione, del dialogo. Benedetto XVI ha raccomandato tante volte di leggere con attenzione i testi del Concilio, di non prestar fede a chi pensa che in quei quattro anni di lavori sia stata cancellata, con una specie di colpo di spugna, una tradizione secolare ricchissima. E però, le grandi questioni intraviste e affrontate per la prima volta cinquant’anni fa, si sono nel frattempo fatte ancor più intricate e angoscianti: come dobbiamo porci davanti all’avanzata aggressiva di una parte dell’Islam? Abbiamo ancora o non abbiamo più, in questa parte del mondo, dei valori da difendere? Dobbiamo o non dobbiamo opporci alla secolarizzazione tanto spinta della società, al consumismo sfrenato, alla convinzione che un’idea valga l’altra, alla disponibilità facile per ogni piacere possibile, un turbinio da cui si genera la noia che per troppe ore ci consuma, il senso di inutilità che troppo spesso avvolge le nostre giornate?
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