Raffaele La Capria, Corriere della Sera 11/10/2012, 11 ottobre 2012
LA TRAPPOLA POETICA DI FRANCO MARCOALDI
Lo confesso, non sono un gran lettore di poesia, alla poesia preferisco la prosa. Mi è però sempre piaciuto leggere i poeti discorsivi, quelli ragionanti, quelli che da un pensiero ragionato estraggono la scintilla della poesia. E per questo ho amato Eliot e ne ho tradotto i Quartetti già nel ’45, quando a Napoli c’erano gli americani. E sempre per questo oggi leggo le poesie che Franco Marcoaldi vien pubblicando. In ognuna si tratta di dipanare un groviglio di scontento e di inquietudine esistenziali dal quale può salvarlo soltanto la fede nella parola.
Scontento e inquietudine tanto più indecifrabili da quando lui, trasferitosi nella laguna di Orbetello, sente di vivere in un suo paradiso terrestre, in comunione con la Natura, le piante, gli animali. Come è possibile amare sconfinatamente tutto questo e amare così poco se stesso e i propri grovigli intellettuali? Il contrasto tra queste due realtà è, secondo me, il nucleo e la genesi della poesia di Franco Marcoaldi.
La sua recente raccolta pubblicata nelle bianche eleganti edizioncine Einaudi (Collezione di poesia) è intitolata La trappola, e mostra in copertina questi versi:
«Si chiude e si apre
Di continuo lo spiraglio
A meno che non sia l’eterno
Abbaglio della vita».
Dove, con la brevità di un haiku, si allude appunto alle intermittenze del sentimento e al contrasto di cui ho detto. Lo spiraglio è la poesia, sono le parole? Io credo di sì, perché per me c’è un sistema delle parole che è cosa umana e comprensibile, e un sistema della natura che è cosa divina e inconoscibile. Ma talvolta accade, in virtù di poesia, che tra questo sistema e l’altro si apra uno spiraglio, ed è questo lo spiraglio cui si allude nei versi in copertina. Ma il dubbio che tutto sia un abbaglio della vita, e che l’abbaglio faccia parte anch’esso di quel bagliore che pur talvolta solo la poesia rivela, rimane nell’animo del poeta. E così qual è la vera trappola della poesia di Marcoaldi?
Secondo me è che lui sia obbligato per sua natura e ispirazione a servirsi dei concetti... per liberarsi dei concetti. E tante volte, attraverso questa dolorosa operazione intellettuale, davvero si apre lo spiraglio. Si apre e la percezione diventa più acuta, quel tipo di conoscenza che solo la poesia può dare avviene, l’«insostenibile avventura» si verifica. E il poeta «capisce» le piante, «capisce» i quaranta soldatini, gli ulivi piantati e maltrattati che resistono e «si rifanno la divisa/ gemmando»; «capisce» un vecchio cane che non ce la fa più a coltivare suoi naturali istinti sessuali, e «quale dolore vedere/ il formidabile volano di una vita/ trasformarsi in una trappola penosa». Ecco, di nuovo la trappola, e quale empatia tra l’uomo e il cane, tra la poesia di Marcoaldi e il «ristagno cupo» che lui ogni tanto avverte! Quando la gioia che lui prova «si converte in pianto per una bellezza che non è più mia».
Raffaele La Capria