Sergio Rizzo, Corriere della Sera 11/10/2012, 11 ottobre 2012
ARSENALE, VENEZIA BEFFATA. RESTA AL POOL DEL MOSE
Due mesi è durato il sogno dei veneziani. In due mesi, dal 7 agosto al 4 ottobre, è nata e si è subito dissolta l’illusione di tornare dopo 207 anni padroni dell’Arsenale. Era stato di loro proprietà per secoli e secoli, fino al 1805: quando Napoleone Bonaparte, che aveva occupato militarmente la Serenissima anni prima, aveva ridotto Venezia a semplice città del suo Regno d’Italia. L’Arsenale era in seguito diventato patrimonio dello Stato italiano con i Savoia e del Demanio con la Repubblica. Prima che nel decreto sulla spending review, convertito in legge il 7 agosto scorso, spuntasse una norma che ne trasferiva la proprietà, «con esclusione delle porzioni utilizzate dal ministero della Difesa per i suoi specifici compiti istituzionali», al Comune di Venezia. Il quale, precisava il provvedimento, era anche incaricato di assicurarne «l’inalienabilità, l’indivisibilità e la valorizzazione attraverso l’affidamento della gestione e dello sviluppo alla società Arsenale di Venezia».
Un successo clamoroso per chi da tempo insisteva sulla necessità di restituire al patrimonio cittadino uno dei suoi spazi più grandi e importanti, dove oltre alla Marina militare trovano ospitalità la Biennale e il Consorzio Venezia nuova, raggruppamento imprenditoriale che sta realizzando il sistema di dighe mobili Mose.
Poi, però, durante l’estate, è successo qualcosa. E nel decreto Crescita 2.0, approvato dal governo una settimana fa, è comparsa, abilmente occultata in uno degli ultimi articoli, una norma che ribalta completamente la situazione. È bastato aggiungere a quel passaggio appena citato del decreto sulla spending review, «con esclusione delle porzioni utilizzate dal ministero della Difesa», questa frasetta: «E di quelle destinate al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti — magistrato delle acque». Il risultato è che la parte più vasta dell’Arsenale, vale a dire quella occupata dal Consorzio, non va più al Comune. Rimane invece affidata al ministero di Corrado Passera e a Venezia nuova. E la città non ci può mettere il becco.
La verità è che quel Consorzio è una potenza assoluta, e questo colpo di scena ne è ulteriore dimostrazione. L’aveva già sperimentato, quel potere, Maria Giovanna Piva, a lungo magistrato delle acque prima di essere spedita a Bologna nel 2008. Per contrasti, è la vulgata, proprio con la corazzata di Venezia nuova. E l’ha sperimentato anche chi ha visto pian piano espandersi irresistibilmente la sfera d’influenza delle imprese che ne fanno parte al grande affare delle bonifiche di Porto Marghera.
Soci del Consorzio sono una trentina di costruttori: da Astaldi a Mazzi, a Gavio, al gigante delle cooperative Ccc… Un plotone foltissimo, nel quale recita un ruolo di pivot la Mantovani presieduta da Piergiorgio Baita. Normale che qualcuna di queste grandi aziende, compresa la stessa Mantovani, abbia linee di credito con il gruppo bancario Intesa, da cui provengono sia Passera, sia il viceministro con delega alle Infrastrutture Mario Ciaccia. Come è normale, aggiungiamo, che questo particolare venga ricordato. È la croce che Passera e Ciaccia sono costretti a portare.
Certo è che per il sindaco Giorgio Orsoni la retromarcia del governo è uno smacco bruciante. Mentre al contrario per il Consorzio Venezia nuova si tratta di una vittoria schiacciante. La gigantesca area dell’Arsenale è stata assegnata in concessione dal Demanio a quel gruppo di imprese, c’è scritto nel bilancio del Consorzio, «per la futura gestione e manutenzione del sistema Mose». E proprio questo è il punto. Perché il potentissimo Consorzio ritiene già acquisita anche la fase successiva alla costruzione e messa in opera delle famose dighe mobili grazie alle quali Venezia dovrebbe essere difesa dal fenomeno dell’acqua alta. Per capirci, si tratta della parte più redditizia dell’intera operazione. Un business ancora più appetitoso della stessa costruzione. Non è un caso che i lavori di adeguamento delle strutture dell’Arsenale per le future opere di manutenzione delle porte del Mose siano iniziati da un pezzo.
Il fatto è che non tutti, invece, accettano di trovarsi davanti al fatto compiuto dando per scontato che la gestione e manutenzione dell’opera debbano essere appannaggio automatico di Venezia nuova: cioè senza una nuova procedura a evidenza pubblica. Vedremo. Intanto, tra avere la sicurezza delle disponibilità delle aree e vedersi invece piombare dentro il Comune con tutti i rischi che il cambio di proprietà potrebbe comportare, c’è una bella differenza. O no?
Sergio Rizzo