Michele Farina, Corriere della Sera 11/10/2012, 11 ottobre 2012
VEDE I GENITORI UCCISI. IL GESTO DEL FRATELLINO
Vive in uno dei Paesi più belli del mondo Carlos Gonzalez, di anni sei, che l’altra notte ha visto massacrare nella penombra la sua famiglia dentro una baracca di lamiera. Uno dei posti più belli e più violenti, il Guatemala: i laghi e i narcos, i resti della civiltà Maya e i 39 omicidi per ogni 100 mila abitanti. Si uccide più oggi che quando c’era la guerra civile negli anni 80. Se sopravvivono alla malnutrizione i bambini imparano in fretta. Forse così si spiega il comportamento di Carlos quando è arrivata la polizia.
Da grande, quasi da capofamiglia. Dopo, ha pianto. Ma prima ha raccontato l’assalto avvenuto alle 2 della notte: «Ho sentito urla e spari. Quando mi sono alzato per vedere cosa succedeva, loro erano già fuggiti. Avevano guanti e passamontagna neri». Con altri cinque bambini Carlos è scappato tra le piante di caffè, che è una delle ricchezze gustose di un Paese che malgrado gli sforzi resta poco equo e nient’affatto solidale. In casa, sotto le lamiere di zinco, a 22 chilometri dalla capitale Città del Guatemala, sono rimasti i morti: Enrique, il padre di Carlos, che aveva 24 anni, la mamma Sandra, 25, che aveva nelle braccia la sorellina Azucena di 8 mesi. E poi Victor e Ismael, 8 anni, Encarnacion, 18, Roberto 25 e la nonna Maria Concepcion che aveva compiuto 50 anni. Tra i cinque piccoli sopravvissuti, a parlare con i poliziotti della «Unidad de delitos contra la vida» è stato soprattutto Carlos, felpa grigia e pantaloni corti giallo sporco. Non il cugino Alfonso, di 12 anni, o Kevin di 11. Ma Carlos, che da martedì notte è il capofamiglia di una famiglia sterminata. Sono rimasti in due: lui e la sorella di 4 anni, Jimena. La foto del loro abbraccio li riprende di spalle, mentre camminano verso la porta (chiamiamola così) di casa. Intorno i corpi insaccati nei teli neri, il fango, un paio di anatre che zampettano in mezzo ai cartellini gialli con i numeri che indicano i 40 bossoli lasciati dai sicari. Carlos che mette la mano sulla spalla di Jimena, lei che gli si aggrappa alla vita. È la foto di un ritorno impossibile, di un inizio tutto da soffrire: i due orfani sono già stati affidati all’assistenza sociale. Ma a vederli così, sembrano due che si incamminano per proprio conto, in mezzo alla palta, accanto a un inutile poliziotto panzuto con i guanti di lattice di una improbabile squadra scientifica.
Eppure questa volta la polizia ha agito in fretta. Dei delitti commessi in Guatemala, il 93% rimane impunito. Per la strage della famiglia Gonzalez hanno già arrestato il presunto mandante. È un vicino di casa, Cesar Archivi, 38 anni, pizzetto e viso magro. Nella sua casa-baracca hanno trovato due cellulari che secondo gli investigatori portano traccia delle telefonate ai sicari. Per uccidere la mamma e la nonna e la sorellina di Carlos ha mandato uno squadrone della morte, dieci uomini vestiti di nero che imbracciavano armi automatiche. I killer sono ancora liberi. Secondo le testimonianze dei parenti adulti, zii e zie, il movente sarebbe il pezzetto di terra coltivato a caffè che dava da vivere ai Gonzalez. Il vicino di casa lo voleva per sé.
In passato c’erano state minacce. Per la terra in Guatemala, come altrove, si muore. Il 4 ottobre otto campesinos che protestavano sul ciglio della strada al chilometro 170 di Totonicapan sono stati ammazzati a colpi di arma da fuoco. Avranno anche loro dei figli come Carlos e Jimena.
Michele Farina