Gabriele Romagnoli, la Repubblica 11/10/2012, 11 ottobre 2012
LIBRO CARO LETTORE, TU NASCONDERESTI ANNA FRANK? [La nostra esistenza, quel che facciamo e persino quel che pensiamo, è una costruzione dietro cui si cela la nostra vera natura Englander ha una gentile crudeltà che mette a nudo viltà e innocenza] – “Leggi i racconti di Nathan Englander, ti piaceranno”
LIBRO CARO LETTORE, TU NASCONDERESTI ANNA FRANK? [La nostra esistenza, quel che facciamo e persino quel che pensiamo, è una costruzione dietro cui si cela la nostra vera natura Englander ha una gentile crudeltà che mette a nudo viltà e innocenza] – “Leggi i racconti di Nathan Englander, ti piaceranno”. La voce di un’amica arriva al telefono da una città lontana. Una delle poche cose che ho imparato nella vita è questa: chi ti vuol bene sa meglio di te che cosa è bene per te. Vale per le grandi come per le piccole scelte. Per cui senza esitare ho scaricato sul kindle la versione originale del libro. Sospinto anche dal fatto che di Englander avevo amato il romanzo Il ministero dei casi speciali. Come già nel caso di un precedente articolo su Il senso di una fine di Julian Barnes, anche questa non è una recensione. E’ piuttosto il resoconto libero di sensazioni, del personale ma universale tormento provocato dai quesiti morali che la letteratura a volte solleva facendo le funzioni della vita. È anche l’individuazione del momento esatto in cui ho pensato: “Questo è un grande libro”. E’ accaduto alla fine del secondo racconto. Se hai vissuto cinquant’anni e non metti a fuoco una persona in dieci minuti hai calpestato la terra invano. Se hai letto centinaia di libri e non ti bastano cinquanta pagine per capire, sei un lettore cieco. Dunque: Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Franke Le colline sorelle bastano a spalmare quel balsamo sul petto che solo la buona scrittura diffonde, a farti accogliere il talento altrui senza invidia alcuna, ma con la dovuta gratitudine. Parlano, magistralmente, della stessa cosa. Ora, lo so, tutti quanti hanno evocato il tema dell’identità ebraica, ricondotto i racconti nell’alveo di quella letteratura. Francamente, mia cara, me n’infischio. I temi che Englander affronta non sono “etnici”. La grande letteratura o è universale o non è. E qui siamo nel suo epicentro: il dilemma morale, la scoperta di sé, il momento della verità. Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank? Di noi stessi, di quel che siamo e non sapremo davvero di essere finché non dovremo affrontare lo specchio di una prova del fuoco. Il gioco che fanno i protagonisti del primo racconto e la vicenda che tocca a quella del secondo sono occasioni di verità. Risposte, intuite o effettive, al grande interrogativo: come reagiremmo se? La nostra esistenza, quel che facciamo e perfino quel che pensiamo, è una costruzione dietro la quale si cela la nostra vera natura. La erigiamo per nasconderla anche a noi stessi, giacché non siamo sicuri, mai veramente sicuri, di poterne essere fieri. Schindler (come molti dei Giusti onorati nel giardino di Gerusalemme) non sapeva di essere un salvatore prima che i dipendenti della sua azienda fossero minacciati. La donna del racconto Le colline sorelle non s’immagina certo egoista e spietata, è anzi generosa e comprensiva, prima di aver perduto tutti i suoi figli. Non di cosa parliamo, ma chi siamo (scopriamo di essere) quando incontriamo Anna Frank, ecco il punto. Leggendo ho pensato a un sogno ricorrente che abita le mie notti. C’è un palazzo in fiamme (che ho poi visto nella realtà, è lo scheletro dell’Holiday Inn di Beirut). Dal cuore dell’incendio arriva l’urlo di una bambina. Ogni volta che faccio quel sogno sono più vicino all’edificio, ma ancora non so se avrò il coraggio di entrare, attraversare il fuoco e provare a portare in salvo la bambina rischiando la mia vita. Posso soltanto fare delle supposizioni su me stesso. Ma come posso sbagliare se mi conosco da oltre cinquant’anni? E’ questa la cosa terribile di cui scrive Englander: possiamo conoscere gli altri meglio di quanto conosciamo noi stessi. Negli altri intuiamo quel che in noi mascheriamo. Dagli altri non vogliamo farci ingannare, da noi stessi sì. Quando i protagonisti del primo racconto fanno il gioco di Anna Frank, ovvero: “Tu rischieresti la vita per nasconderla?”, le risposte che si danno sugli altri sono ferali. Ma conoscono la verità su se stessi? L’ebreo ortodosso che la loro intuizione smaschera con efferata certezza sapeva di essere un vile? Conosceva la verità su se stessa la protagonista del secondo racconto, la madre senza più figli? Pensava che sarebbe stata capace di ricorrere a una superstizione (da lei stessa giudicata inizialmente stupida) per appropriarsi di una figlia altrui e porre rimedio non tanto al dolore quanto alla necessità? No, certo che no. Vivevano entrambi al riparo, lontani dal fuoco, sicuri della propria innocenza. La grandezza di Englander sta nella sua gentile crudeltà. Accompagna i suoi personaggi al dirupo della verità, sorride loro, li sospinge con una carezza. Dire che dopo niente sarà più come prima è inesatto: era già così, ma non era dato saperlo. Scrivere è smascherare. E’ tormentare il lettore e se stessi con le pieghe oscure dell’esistenza, angoli inaffrontati di questi corridoi inondati di luce artificiale. E’ svestirsi per mettere a nudo l’umanità. E’ dirsi verità inaccettabili: possiamo essere vigliacchi, possiamo essere feroci, siamo inimmaginabili per noi stessi. E quindi: possiamo anche essere eroici. Alla fine del capolavoro di John Steinbeck La Valle dell’Eden, il servo orientale torna al letto del padrone morente portando la traduzione dei saggi a una parola chiave dei testi sacri: timshel. Gli sussurra: tu puoi. Tu puoi: vincere il peccato. Tu puoi: andare oltre il tuo limite. Tu puoi: non è nel dna, non è nella predestinazione, è nel tuo ingannevole cuore, è in te. E’ una tua scelta: nessuna grazia più grande di questa ti sarà data. C’è quel palazzo in fiamme, c’è l’urlo della bambina. Dieci minuti dopo avermi incontrato Nathan Englander saprebbe scrivere il resto della storia. Ecco di che cosa parla quando parla di Anna Frank.