Notizie tratte da: Marina Ripa di Meana # Invecchierò ma con calma # Mondadori Milano 2012 # 18 euro., 11 ottobre 2012
Notizie tratte da: Marina Ripa di Meana, Invecchierò ma con calma, Mondadori Milano 2012, 18 euro.All’interno della «formula magica per stare bene insieme», la condivisione dei cani
Notizie tratte da: Marina Ripa di Meana, Invecchierò ma con calma, Mondadori Milano 2012, 18 euro.
All’interno della «formula magica per stare bene insieme», la condivisione dei cani.
«A Marì, mo’ ti sei messa a fa’ il falegname?» (la regina del Belgio, Paola, visitando a Kortijk una mostra di mobili disegnati da Marina, non dimentica dei tempi in cui a Roma «da ragazzina, faceva il maschiaccio e girava in motorino con dei mocassini sfondati»).
Carlo d’Inghilterra che si mette in testa il cappellino di Marina e poi lascia che lo fotografino.
Regole per far durare il matrimonio: «Regola numero uno: non c’è nessuna regola. Regola numero due: se siete in crisi, non parlatene con le amiche, la più carina cercherà di soffiarvi il marito, la più stupidella vi consiglierà una terapia di coppia con uno psicoanalista».
Ungaretti che, a una festa letteraria a New York, raccogliendosi oggetti da mettere all’asta per aiutare i poeti poveri, offì un pelo del suo pube. Ginsberg aggiunse allora un verso al suo “Jukebox all’idroge”: «Huidobro dimenticato nell’oceano ossuto Ungaretti / memore del bianco pelo pubico…».
«Ho raccontato anni fa che, per procurare una dose a Franco (il pittore Franco Angeli, con cui Marina ebbe una delle storie più importanti della sua vitai), una volta arrivai anche a prostituirmi. Qualcuno mi aveva detto che un ragazzo di una nota famiglia romana era disposto a sborsare cinque milioni di lire per venire a letto con me. Vedere Franco in astinenza era uno spettacolo insopportabile: si graffiava le braccia a sangue, si scarnificava, si lamentava, piangeva. Più che un atto di prostituzione, si può dire che per me fu una specie di bravata da ragazza, innamorata e impunita… Il brutto è che poi mi persi pure l’assegno…»
«Quando nel luglio del 2011 è morta la cantante Amy Winehouse, il “Corriere della Sera” ha intervistato Marianne Faithful, ex “sister morfina”, la musa dei Rolling Stones, che ha raccontato di essere riuscita a sottrarsi alla maledizione del “club dei 27”, cioè dei vari miti del rock, che per ragioni di droga e abusi vari, non hanno raggiunto i ventotto anni di età, ma di avere veramente passato l’inferno. Io l’avevo frequentata tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, quando era bella, giovane e innamorata di Mario Schifano. Un giorno ero nell’atelier di Mario e arrivò Mick Jagger irriconoscibile, completamente strafatto. L’assistente di Mario lo fece accomodare in sala d’attesa, in mezzo a quella specie di corte dei miracoli che faceva sempre anticamera da Schifano, aspettando che lui si concedesse, o meglio ancora che concedesse ancora una tirata di coca. C’era di tutto: mercanti d’arte, spacciatori, pischelle vogliose, nobildonne con aspirazioni artistiche. Mick diede uno spintone alla porta e ce lo trovammo di fronte. In un attimo acchiappò Marianne e la trascinò via. Da allora non l’ho più rivista. Era proprio Schifano a procurare spesso la droga anche a Franco. Lo chiamava perfino nel cuore della notte, per dirgli che “la roba” era arrivata. La verità era che Mario era il più carismatico del gruppo, forse il più dotato di talento e quindi il leader del terzetto composto da lui, Tano Festa e Franco Angeli. Qualche anno fa, durante la presentazione di un libro su Schifano alla libreria Feltrinelli, hanno fatto di tutto per mettermi all’angolo, rea di aver tentato di incrinare l’immagine del grande artista. Io che con quei tre avevo diviso giorni e notti, conoscevo bene la realtà. Ricordo ancora l’indignazione di Furio Colombo, uno dei presentatori della serata insieme a Monica De Bei, Fulvio Abbate, Camilla Nesbitt e Pietro Valsecchi, quando, alzandosi in piedi, si ribellò alla mia dissacrazione».
«Signora, è meglio che se ne vada, se ne vada, signora» (il portiere dello stabile di via dei Barbieri 6, in Roma, a Marina che intanto viene buttata giù dalle scale a calci e pugni dal fidanzato Franco Angeli).
«Cancellavo i segni di pugni che qualcuno mi aveva amorosamente dato e uscivo di casa con l’abito più bello e più colorato che avessi».
Rimasta incinta di Franco Angeli, Marina bussò a un certo numero di via Savoia. «Non era nemmeno un ambulatorio, era un semplice ufficio, un improvvisato studio medico. In un locale senza finestre, su un lettino ostetrico schizzato di sangue, un medico e un’infermiera eseguirono su di me quella che allora era ancora una pratica illegale […] Durante l’intervento, svenni per il dolore, ma il medico mi rimise in piedi con qualche spruzzo d’acqua fredda e un paio di schiaffi. L’infermiera mi rivestì come fossi un pupazzo e si rifiutò di chiamarmi un taxi perché diceva che era troppo pericoloso. Dopo il raschiamento, venni letteralmente buttata fuori, spinta con con mala grazia dentro l’ascensore, mentre ero in preda a dolori lancinanti. Ricordo ancora la zaffata di odore di cavolo, quando passai barcollando davanti alla portineria e poi fuori, per la strada, il profumo pungente delle foglie bagnate. Pioveva a dirotto e, come spesso succede a Roma in questi casi, non c’era nemmeno l’ombra di un taxi. Via Savoia è tutta in salita e dovetti percorrerla fino in fondo con grande fatica, mentre un rivolo di sangue mi scendeva giù per le gambe. Temevo veramente di morire e pensavo con sgomento che ero uscita senza documenti, come mi avevano chiesto di fare “per prudenza”. Finalmente arrivai in piazza Fiume, dove trovai un taxi e mi feci riportare a casa».
«Invecchiare è un’opzione sociale».
«A ni’, che c’è tu’ padre?» (Anna Magnani chiama casa Punturieri. Risponde la piccola Marina: «Riposa»).
Sandro Penna che al cospetto di Gianni e Marella Agnella, di fronte al quadro a sfondo pedofilo di Balthus Risveglio di bambina s’era lasciato la patta sbottonata, magari per sbadataggine, magari per perfidia.
«Buttatela giù! Buttatela di sotto, quella mignotta» (la contessa Lia Bianchi Miani, con filo di perle e tartina al camembert addentata in mano, urla vedendo Marina che, salita sul balcone dell’ambasciata di Francia, dove era in corso una festa, sta srotolando uno striscione contro Chirac e gli esperimenti nucleari nell’isola di Mururoa. La folla di piazza Farnese, da sotto: «A Mari’, facce vede ’a greenpeace»).
Brigitte Bardot «una streghetta, scontrosa e diffidente, che preferisce i cani agli uomini».
Bill Gates, «l’uomo con l’aria da pesce di lago».
«Ma Carlo mette dei soldi da parte?» (Bettino Craxi a Marina, riferendosi a suo marito Carlo Ripa di Meana).
«Craxi a tavola era un disastro. Spesso, di fronte a cibi raffinati, optava per un’abbondante “sfranta d’uova”. Anche con un piatto di ostriche, che portavo spesso da Bruxelles e che servivo con grande cura, ghiaccio, limone e oignon, lui si spazientiva: “Non si potrebbe avere un bel piatto di spaghetti? Io ho fame!”».
«E chi è? Un tedesco?» (Marina sente nominare per la prima volta Bettino Craxi).
«Io, Marina Punturieri, ex Lante della Rovere, oggi Marina Ripa di Meana, domenica 13 febbraio sarò stretta alle mie sorelle, oggi escort, ai miei tempi mignotte. Io sono con loro da sempre, da quando abitavo a via Borgognona 12, sopra il ristorante Nino. Una bella casa romana dove hanno vissuto o venivano in visita Umberto Melnati, Bruno Mazzotta, Cesare Garboli, Diana Varè, Natalia Ginzburg, Marco Vicario, Nicoletta Fiorucci, Susanna Agnelli e tanti altri. Nel vano dell’ascensore campeggiava, a pennarello indelebile, la scritta: “Marì, principessa delle mignotte”» (febbraio 2011, Marina esorta pubblicamente la figlia Lucrezia a non partecipare alla «giornata politica anti-Berlusconi e contro la mignottocrazia imperante»).
«Mi sono sempre sentita padre».
Su Parise, Giosetta Fioroni e Omaira Rorato vedi pagine 69 e seguenti.
Sulla storia di come Alessandro Lante della Rovere le impose di non adoperare più il cognome vedi 68
«Purtroppo il futuro è irreversibile. L’unica cosa che possiamo cambiare è il passato. Io, il mio, lo cambio ogni volta che ci penso» (Borges).