Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri il Corriere della Sera, per la penna di Dario Di Vico, ha pubblicato l’ennesima indiscrezione sul destino di Alitalia, indiscrezione confermata da lanci di agenzia e dal silenzio dei diretti interessati, quello di Intesa San Paolo (il cui amministratore Corrado Passera ha preparato il piano), quello del consiglio d’amministrazione della compagnia e quello dei membri del governo, a partire da Berlusconi. C’è solo un punto, nella ricostruzione d’agenzia, che è stato smentito seccamente: e cioè che il prossimo 29 agosto l’Alitalia sarà in tutto o in parte commissariata.
• In che consiste allora il piano?
Quello che sembra certo è un piano esuberi da 5-6000 persone e l’ingresso nel capitale di una piccola cordata di tre soci. Costoro metteranno 700 milioni.
• Chi sono?
Colaninno entrerà, come sappiamo, solo se ci sarà un grande partner internazionale e solo se gli si sarà riconosciuto un ruolo guida. L’amministratore designato alla guida della compagnia è Rocco Sabelli, che ha già lavorato con lui in Piaggio. Toto entrerebbe non con Air One, che ha troppi debiti, ma con Ap Holding. Si dice anche che potrebbe vendere tutto e dedicarsi ad altro: riceverebbe in questo caso 300 milioni. Poi ci sono Ligresti, Benetton e Aponte. Ligresti e Benetton sono sulla bocca di tutti da un pezzo anche se ieri Gilberto – Gilberto Benetton, voglio dire, l’uomo che in quella famiglia si occupa della cassa – si è espresso sulla faccenda in modo abbastanza duro. Alessandro Plateroti, nell’’intervista che gli ha fatto per il Sole 24 Ore, a un certo punto gli ha chiesto le intenzioni della famiglia su Alitalia e se è vero che i Benetton metteranno soldi nella compagnia aerea per restituire il favore che gli ha fatto il governo approvando la nuova convenzione tariffaria per Autostrade. Benetton ha negato tutto («è assolutamente falso») e su Alitalia ha detto: «Ci è stato chiesto di partecipare alla cordata italiana e in via di principio riteniamo di poter dare il nostro contributo al rilancio della compagnia di bandiera. Ma non abbiamo ancora visto un piano industriale, dei numeri o una proposta concreta da Banca Intesa». Sembra che si tengano la porta aperta per scappare.
• Ho sentito nominare Ligresti. Ma chi è Aponte?
Un napoletano di Sorrento, ex comandante di vaporetti, che dopo il matrimonio con Rafaela Diamant Pineas, figlia di un banchiere ginevrino, si mise a comprare carrette del mare, restaurarle e rimetterle sul mercato. Ha poi acquistato la flotta Lauro. Ma fece i soldi veri quando, all’inizio degli anni Ottanta, investì sulle porta-container. Adesso ne ha più di 300. Su Alitalia non ha detto un parola, ma, in un certo senso, è del settore: porta uomini e merci in giro per il mondo, anche se per mare e non per cielo.
• Questo piano che lei mi ha descritto poco fa mi sembra troppo semplice.
Il punto chiave è come sarà divisa la compagnia. L’idea infatti è di mettere in una società apposita tutte le attività cattive e di far entrare i soci in un’Alitalia ripulita e con i conti a posto. Facile a dirsi, non semplicissimo a farsi per via delle leggi in vigore che sono state tutte costruire su situazioni aziendali diverse da quelle della nostra compagnia di bandiera. In altri termini con le leggi attuali Alitalia non può essere commissariata e non può fallire, per via dei 300 milioni regalati da Prodi e Berlusconi e che la fanno ancora troppo ricca. D’altra parte la suddivisione in una bad company e in una good company va fatta in modo che i creditori della bad company non possano rivalersi sulla good. E la bad deve essere sistemata, con gli esuberi, la cessione o lo smantellamento di asset eccetera. Il governo ha tutto agosto per correggere la legge Marzano ed emettere decreti adatti alla bisogna.
• Mi sa che era meglio il piano Spinetta.
I francesi ragionavano col petrolio a 86 dollari e nel piano era specificato che tutto il ragionamento stava in piedi solo col prezzo del petrolio fermo. Anche Passera ha fatto la stessa cosa: presuppone per i prossimi due anni il petrolio a 132 dollari. Gli esuberi di Spinetta non erano comunque duemila, come si sente dire adesso. I francesi avevano previsto il taglio diretto di 2.100 persone, poi lo Stato italiano avrebbe dovuto stipendiare per cinque anni 3300-4000 lavoratori, poi c’erano 1500 contratti a termine che non sarebbero stati rinnovati. E in più Malpensa sarebbe stata rottamata. Alla fine, guardi, siamo lì. E anche se i sindacati e Berlusconi non li avessero fatti scappare, adesso, col petrolio a questi prezzi, avrebbero forse mandato tutto in malora lo stesso. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 31/7/2008]
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