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 2008  luglio 31 Giovedì calendario

Panorama, giovedì 31 luglio Giuliano Tavaroli è quasi un personaggio scespiriano. In prima linea ai tempi dell’antiterrorismo, quindi capo degli «spioni» della Telecom vecchia gestione, infine galeotto dai nervi saldi

Panorama, giovedì 31 luglio Giuliano Tavaroli è quasi un personaggio scespiriano. In prima linea ai tempi dell’antiterrorismo, quindi capo degli «spioni» della Telecom vecchia gestione, infine galeotto dai nervi saldi. Poi l’ex capo della security Telecom, descritto come l’uomo dagli occhi di ghiaccio, si è sciolto all’improvviso: «La mia liquidazione è quasi finita, vado in giro a leggere i cartelli per accettare lavoretti...». Sui giornali ha iniziato a coinvolgere gli ex vertici Telecom, quelli che prima aveva difeso: Marco Tronchetti Provera sapeva quello che facevamo alla security, va dicendo ora. Il contrario di quello che aveva dichiarato ai magistrati che lo accusano di associazione per delinquere, corruzione internazionale, divulgazione di materiale riservato. La domanda è dunque: che partita sta giocando Tavaroli? vero quello che ha detto ai pm oppure ciò che racconta ai giornalisti di cui ama attorniarsi? La risposta è forse nel messaggio che martedì ha affidato alla Stampa: «Di certo non ho intenzione di fare il capro espiatorio. (...) Quando andremo a processo riparleremo di tante cose. (...) Un imputato ha anche diritto di mentire». Chi lo conosce bene scommette che a causare lo scarto repentino sia stato il suo vecchio capo: infatti «il dottore», come Tavaroli chiama Tronchetti Provera, ha preannunciato che si costituirà parte civile nel processo contro di lui. Per altri, invece, è l’ennesimo colpo di scena preparato a tavolino, per non far spegnere i riflettori, magari in vista della prossima uscita del suo libro Spie.  questo il metodo Tavaroli: dire e non dire, sedurre e affabulare, accarezzare e bastonare. Senza fretta. Ma di certo questo ex brigadiere dei carabinieri di Albenga le idee le ha chiare. L’ultimo fuoco d’artificio l’ha affidato alla Repubblica, dove ha fatto mettere nero su bianco cose che da tempo diffondeva in cene e incontri. E ha scelto Giuseppe D’Avanzo, giornalista del quotidiano. Due anni fa, pochi giorni prima dell’arresto, a Panorama aveva detto a mo’ di battuta: «Vado in carcere su richiesta del sostituto procuratore D’Avanzo». Ora proprio con il suo grande accusatore ha deciso di fare nomi e cognomi di un presunto «network eversivo» vicino al centrodestra che lui avrebbe provato a contrastare, di fantomatici conti londinesi della dirigenza dei Ds (riquadro a pagina 20). Per sparare a palle incatenate ha scelto chi gli offriva la migliore bocca da fuoco. Il disegno di Tavaroli resta imperscrutabile. Di certo, come ha detto, non vuole pagare da solo. E la piena assoluzione della vecchia dirigenza, ufficializzata dall’avviso di conclusione delle indagini firmato dalla procura di Milano, non sembra soddisfarlo. «Quando mi hanno arrestato, a casa mia hanno trovato solo due dossier, il Garden e quello su Jnifen Afef» aveva detto a Panorama con il suo sorriso sornione. Millanterie? Il fascicolo Garden riguardava presunti conti esteri dei vertici Telecom, domiciliati presso la Banca del Gottardo. Quella sera a cena Tavaroli aveva consigliato al cronista di approfondire il tema e aveva raccontato di un precipitoso viaggio notturno a Monte-Carlo insieme con un dirigente della Telecom. Ad attenderli sulla terrazza di un albergo ci sarebbe stato un banchiere, di Albenga come lui. Insieme si sarebbero preoccupati di contrastare una possibile fuga di notizie. Il pasticcio era iniziato quando un impiegato della banca svizzera aveva inviato un’email alla Telecom in cui chiedeva soldi in cambio del suo silenzio su quei conti. Adesso il consiglio di Tavaroli era quello di cercare quell’uomo, stimolarlo. Il messaggio era chiaro: conosco i segreti di Tronchetti, e se parlo io... Sembra sintonizzato sulla stessa frequenza l’ex socio e amico Emanuele Cipriani, 48 anni, il detective fiorentino che produceva i dossier illegali per conto di Tavaroli: «Lui quei rapporti li leggeva rapidamente, poi li indirizzava all’ufficio che aveva fatto la richiesta: presidenza, ufficio legale, personale. Mi diceva: ”Sei l’unico che scriva documenti che posso portare in originale al dottore”». Ai pm Tavaroli ha raccontato una versione diversa, forse per evitare un’incriminazione per calunnia. «La verità la sta dicendo ora ai giornali» continua Cipriani. Una cosa è certa: la presunta Spectre che secondo i magistrati milanesi ha messo sotto controllo migliaia di italiani per almeno 3 anni sembra più abile nel manovrare la stampa che le informazioni riservate. Infatti la rete di spioni che Tavaroli utilizzava, a parte alcune eccezioni, era formata da investigatori privati con un modesto passato nelle forze dell’ordine e da giornalisti sulla via della pensione. Che cosa c’era in quei dossier? Ritagli di giornale, documenti scaricati da internet, accertamenti patrimoniali, carichi pendenti, tabulati telefonici. Neppure un’intercettazione. Dunque la banda riusciva a ottenere le stesse informazioni che ogni giornalista con qualche fonte tra le forze dell’ordine è in grado di procurarsi (ma in quel caso le talpe venivano pagate per le loro informazioni, consentendo ai magistrati di configurare il reato di corruzione). Però non bisogna farsi ingannare. La vera forza di Tavaroli è un’altra: la capacità di fare rete, di mettere in relazione le persone, di capire e utilizzare quello che viene a sapere. A Tavaroli piace far credere di conoscere più di quello che probabilmente sa. Mette insieme voci e boatos e li trasforma in pseudonotizie, a volte in velate minacce. Come quando dice alla Repubblica di aver fatto scrivere sui giornali che c’era «un mandato di arresto per l’uomo della Kroll (l’agenzia investigativa impegnata in Brasile contro la security Telecom, ndr) Nunzio Rizzi». Lui, italobelga, occhi azzurri, appassionato di sigari e belle donne, non si stupisce. E da Belgrado ribatte: «Ho sempre detto che quell’inchiesta era inesistente, ma nessuno mi credeva». Come è possibile che i giornali riprendano una notizia farlocca? «Semplice: sul quotidiano che la diede, lo stesso giorno c’erano 17 pagine di pubblicità di Telecom e Tim». Tavaroli è pure questo. Sa come veicolare una notizia, sfruttando il peso di inserzionista o studiando le linee editoriali. Per esempio a Panorama, pochi giorni prima dell’arresto del 2006, promise «rivelazioni» sull’Inter e Massimo Moratti (che la direzione preferì cestinare). Poi fissò un appuntamento con il cronista in piazza San Babila. Era il primo incontro. Si presentò, sorridente, con un’ora di ritardo. In una chiavetta aveva alcuni dati. Si chiuse ad armeggiare con il computer portatile del cronista nel camerino di un negozio d’abbigliamento. In quei file c’era poco o niente: troppo fresca la conoscenza per passare una soffiata vera. Prima di lasciarlo andare il cronista di Panorama chiese un’intervista, lui declinò: «Non è il momento». In realtà aveva già affidato il suo pensiero a un quotidiano che il giorno seguente lo pubblicò su due pagine. Il secondo appuntamento fu ad Albenga, in un bar sul lungomare. Parlò a raffica per quasi un’ora. Fece nomi e cognomi. Quindi fissò al cronista un appuntamento con un dirigente Telecom. Come dire: là dentro ho ancora molti amici. Quando uscì dal carcere, Panorama venne contattato proprio dal manager per una cena informale. Quella sera a tavola c’era anche Tavaroli (« una sorpresa per te» esultò l’amico dirigente), che accettò di parlare delle vicende brasiliane di Telecom. Avrebbe dovuto sembrare un’intervista rubata. Anche in questo caso la polpa non l’aveva lui, ma i suoi contatti. Panorama poté raccontare quella storia di presunte tangenti perché «il Tavola» aveva autorizzato a parlare i suoi ex uomini in Sud America. Era ancora lui a fare e disfare. Anche dentro la Telecom. Anche dopo che Tronchetti Provera aveva lasciato l’azienda in seguito alle pressioni della politica. Tavaroli continuava a lanciare messaggi. L’ex colonnello del Ros Angelo Jannone era «il suo più grande sbaglio», mentre a Fabio Ghioni «voleva ancora bene, nonostante le sciocchezze che aveva detto ai pm». Jannone, ex responsabile dell’antifrode Telecom, nell’agosto 2004 viene inviato in Brasile: «Mi disse: ”Così non potrai più dire di essere alle dipendenze di un brigadiere”. Non l’ho mai pensato, di lui apprezzavo la metà manager di alto profilo. Ma l’altra metà resta un mistero». Ghioni, ex responsabile della sicurezza tecnologica, accusato di hackeraggio, lo accarezza: «Quando parlava del ”dottore” quasi gli veniva l’occhio lucido. Capisco delusione e ultime dichiarazioni». Per gli amici il cambio di linea non sarebbe dettato da avidità, dalla ricerca di una pensione dorata. Eppure, i pm per mesi hanno dato la caccia al tesoro dell’ex capo della security Telecom. «Non lo hanno capito» conclude Cipriani. Un uomo che ai soldi preferisce il fascino immateriale e il potere del sapere le cose. Tanto che da grande vorrebbe entrare nel mondo della comunicazione. La prova? Con gli amici più stretti, sta condividendo un progetto: una casa di produzione tv per inchieste giornalistiche, da inaugurare con il «gemello» di sempre, l’ex ufficiale del Sismi Marco Mancini. I temi? «Con i nostri contatti potremmo approfondire quelli più scottanti: dall’origine del patrimonio dei Kirchner in Argentina alla rete internazionale dei terroristi di Hezbollah». Giacomo Amadori