Eugenio Scalfari, la Repubblica 31/7/2008, pagina 1., 31 luglio 2008
CONOSCO
Corrado Passera da una vita. Da quando lavorava alla Olivetti a fianco di Carlo De Benedetti. Poi all´Espresso dove si innamorò del mestiere di editore di giornali. Poi capo delle Poste italiane, dove riorganizzò un servizio pubblico in stato comatoso e ne fece un´azienda moderna. Infine alla guida di Banca Intesa chiamato da Giovanni Bazoli ormai "grande vecchio" del sistema bancario italiano. In quest´ultima carica, la più importante di una fulminante carriera, Corrado ha vissuto e gestito le tappe essenziali delle trasformazioni bancarie italiane, della nascita di Banca Intesa Sanpaolo, di una serie di interventi in sostegno di grandi e medie imprese dalla Fiat alla Piaggio, da Luxottica a Telecom. Ora è la volta di Alitalia. Non è quantitativamente parlando un´iniziativa da farlo tremare, ne ha gestite di ben più impegnative. Ma questa è la prima (probabilmente anche l´ultima perché di rogne gliene sta dando un bel po´) nella quale si trovi alle prese direttamente con il potere politico e per di più su un tema che non è soltanto di mercato: risuscitare la compagnia di bandiera del trasporto aereo, dove alla parola bandiera si dà anche un significato simbolico e cioè la nazionalità della compagine azionaria.
Passera sa che Repubblica ed io personalmente tutte le volte nelle quali ho scritto sull´argomento Alitalia, abbiamo visto nella fusione con Air France il modo migliore per evitare il fallimento della società e limitarne il più possibile i danni per il personale, gli azionisti, i creditori, i contribuenti e gli utenti, perché queste sono le categorie professionali e sociali che compongono il complesso mondo toccato dal fallimento Alitalia.
Uso la parola fallimento non a caso perché, allo stato dei fatti, Alitalia è già fallita. Se entro novembre non sarà nata al suo posto una nuova entità societaria, il fallimento sarà inevitabilmente dichiarato per totale mancanza di fondi in cassa. Ma quand´anche il miracolo del salvataggio avvenga, la vecchia Alitalia sarà oggetto d´un fallimento pilotato, cioè morbido, graduale, attraverso una legge Marzano resa più adatta a guidare aziende decotte verso il cimitero degli elefanti senza impiegare inutili brutalità.
Insomma un´azienda sostanzialmente fallita dalla quale estrarre, prima che si necrotizzino, le parti ancora vitali, da riorganizzare con un consono piano industriale affidandole ad una cordata (orrenda parola) di imprenditori italiani disposti a metter sul tavolo complessivamente da settecento a ottocento milioni di finanziamento e di gestire la nuova compagnia di bandiera.
Passera voleva incontrarmi e raccontarmi. Ci siamo dati appuntamento nella casa di campagna di Carlo Caracciolo e lì abbiamo passato la serata tra vecchi ricordi e il problema che oggi occupa l´amministratore delegato di Banca Intesa. Non ho chiesto a Corrado se potevo riferire la nostra serata.
L´esperienza mi ha insegnato ciò che posso raccontare e ciò che appartiene alla riservatezza. Spero di saperne fare anche questa volta buon uso.
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«Non sono qui per fare "lobbying" con te» mi ha detto dopo che ci siamo salutati e abbracciati come un tempo.
«Desidero che tu sia informato del mio lavoro al punto in cui è arrivato. Così, se dovrai scriverne, non dovrai usare voci più o meno attendibili ma fatti veri e previsioni autentiche. Su questi elementi potrai formati un´opinione, quale che sia».
Dal canto mio l´ho avvertito (ma lo sapeva già) che l´operazione Alitalia a lui affidata in qualità di «advisor» mi pareva partita col piede sbagliato, messa in pista da chi aveva fatto di tutto per far fallire la fusione con Air France con la prospettiva di una cordata tricolore e l´obiettivo di far passare una lucciola per una lanterna.
Fatte queste dichiarazioni iniziali la nostra conversazione è cominciata.
Con una prima sorpresa per me: Passera considera importante l´esistenza di un compagnia di bandiera con un azionariato e un management italiano e radicato in Italia. «In Europa» mi ha detto «non c´è nessun paese di vasta estensione che non abbia la sua compagnia di bandiera. E´ una sicurezza per gli utenti ed anche per i ricercatori nel settore aerospaziale. Le compagnie aeree degli altri paesi gestiscono tra il 70 e l´80 per cento del traffico nazionale. La nuova Alitalia, se nascerà, dovrebbe arrivare al 65 per cento. Abbastanza per essere vitale lasciando spazio alla concorrenza interna ed estera. Per le tratte a traffico più intenso c´è anche la concorrenza delle Ferrovie. Da questo punto di vista il punto di equilibrio mi sembra raggiunto».
Ho chiesto quale sarebbe stato il ruolo di Air One in questa operazione.
Una fusione? Air One si sarebbe portata appresso tutti i suoi debiti che ammontano ad oltre un miliardo di euro? Mi ha risposto che non è prevista alcuna fusione con Air One ma semplicemente l´acquisto da parte della nuova Alitalia di alcune attività di Air One. Per esempio tutta la flotta aerea, tutte le autorizzazioni di cui dispone sulle varie rotte, tutti i contratti di acquisto di nuovi aerei.
I debiti e ogni tipo di obbligazione di Air One sarebbero rimasti nel perimetro societario di Toto, le attività da lui vendute alla nuova Alitalia sarebbero state pagate con azioni della nuova società.
«Ma Toto ce la farà a sopravvivere a questo scorporo?» ricordo che ha fatto un gesto con la mano per dire «Non è affar mio». Poi ha aggiunto: «Penso di sì, penso che ce la può fare».
L´attuale consiglio d´amministrazione di Alitalia non vuole la nascita d´una nuova società ma suggerisce di proseguire con la struttura attuale utilizzando i meccanismi e i benefici della legge Marzano. Ma dal seguito della nostra conversazione ho capito che quest´ipotesi è esclusa: nessun imprenditore metterebbe un centesimo nella vecchia struttura Alitalia. A quel punto ci sarebbe il fallimento puro e semplice senza alcuna garanzia né per il personale dipendente né per i creditori. Per di più l´Alitalia cesserebbe per qualche tempo di volare con un collasso vero e proprio dell´economia italiana.
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E´ naturale che di fronte a queste prospettive lo schema di due società - la società-rottame e quella rigenerata da una sapiente chirurgia plastica - sia il solo sbocco possibile. Il problema contiene a questo punto due domande ed esige altrettante risposte: chi è il responsabile di questa catastrofe, annunciata da circa dieci anni e precipitata proprio durante la campagna elettorale del 2008? E, seconda domanda, quale sarà la sorte dei creditori e del personale in soprannumero?
Le risposte a queste due domande non rientrano nei compiti dell´ "advisor" e quindi non le ho poste a Passera. Me le sono fatte da solo ma ad alta voce e ad alta voce mi sono risposto.
I responsabili della catastrofe sono numerosi. I governi che si sono alternati dal 2001 ad oggi, perché la privatizzazione della compagnia aerea era all´ordine del giorno da allora e anche da prima.
Il governo Prodi del 2006-2008 che avrebbe potuto vendere all´esordio e non lo fece per i soliti interni contrasti.
Quel medesimo governo che si impigliò in un´asta disadatta e in successivi estenuanti tentativi.
Silvio Berlusconi, che utilizzò il tema Alitalia, lo slogan patriottardo della cordata tricolore, la necessità di non cedere ai francesi di Air France un bene pubblico della patria, per alimentare l´animosità dei sindacati e mobilitare gli elettori di Forza Italia e della Lega. Ci furono in quelle settimane sbalzi enormi nelle quotazioni in Borsa del titolo Alitalia, in corrispondenza con le quotidiane dichiarazioni berlusconiane. Una vera turbativa di mercato sotto gli occhi della Procura di Roma ma senza conseguenza alcuna per il turbatore.
I sindacati che, eccitati all´intransigenza dal leader della destra, risposero negativamente all´ultima offerta di Spinetta, consigliere delegato di Air France, e poserò così la parola fine al negoziato.
Secondo me i sindacati e Berlusconi sono i principali responsabili; segue con i suoi non lievi errori di gestione il governo Prodi. Comunque i cocci sono ancora lì e ingombrano il terreno.
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Mentre facevo queste riflessioni con Caracciolo, guardavo Passera di sottecchi. Ma lui, all´enumerazione di quegli errori e di quelle responsabilità, aveva assunto la posizione della sfinge: mani sulle ginocchia e sguardo nel vuoto. Solo quando nominai i sindacati si lasciò sfuggire un´esclamazione e un gesto delle braccia verso il cielo.
Poi si ricompose subito né io sollecitai un suo commento.
Gli posi però la terza domanda perché quella rientrava nel perimetro del suo lavoro. Una volta creata la nuova Alitalia, con 800 milioni di finanziamento ma nessun vettore internazionale coinvolto, quale sarà il futuro?
Soltanto voli nazionali e qualche rara puntata nel perimetro europeo e transatlantico? Bisognerà rinnovare la flotta? Con quali soldi? Avete messo su un giardinetto di azionisti che hanno però anche altre attività. Forse si aspettano di esser trattati con particolare riguardo dal governo. Pagheremo anche questo noi contribuenti utenti cittadini per salvare il «nano» Alitalia e il «nano» Air One in un mondo dove ormai resteranno soltanto i colossi?
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La parola «nano» applicata alle due società destinate a diventare una sola, non piace a Passera. Certo sa bene che la nuova Alitalia avrà un perimetro limitato. Non minore però di quello che ebbe l´Alitalia dei tempi d´oro negli anni Sessanta-Settanta, prima delle grandi crisi petrolifere. Anche allora la compagnia di bandiera volava sulle tratte nazionali ed europee con qualche collegamento con le zone di presenza italiana nel mondo: America Latina, Australia, New York.
Più o meno sarà così. Per un´azienda fallita, risorgere con questo perimetro non è tanto male. Per svecchiare la flotta si prenderanno gli aerei in «leasing».
E poi ci sono le banche di sostegno, a cominciare dalla sua ma non soltanto e non soltanto italiane.
Il complesso di queste operazioni richiede una disponibilità e un´affidabilità di almeno cinque miliardi.
Il «nocciolino duro» che avete messo insieme vi seguirà? E che cosa domanderà in cambio al governo? Due giorni fa Benetton in una lunga intervista al "Sole 24 Ore" ha già messo le mani avanti, è stato molto chiaro, anzi onestamente chiaro sul «do ut des» in proposito di Alitalia.
Ma Passera su questa mia terza domanda ha ripreso la posizione dello sguardo in alto e mani sulle ginocchia (si fa per dire). Ha ripetuto che se gli aerei della compagnia volano la cassa necessaria c´è, il resto riguarda il management, gli azionisti e le banche.
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Si era fatto tardi, ci accomiatammo dal nostro ospite e andammo verso le auto. Il cielo era terso, splendeva sulle nostre teste il carro dell´Orsa e le luci di Cori sulla collina di fronte.
Ci abbracciammo. Corrado era contento della lunga rimpatriata e io pure. Ti auguro il successo che ti meriti, gli dissi montando nella mia auto. Lui agitò il braccio e chiuse lo sportello della sua. Gli passai accanto sulla strada sterrata e gli dissi ancora: era meglio vendere ad Air France. Lui rispose: «Può darsi, ma a noi ci hanno chiamato dopo».
Eugenio Scalfari