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 2008  luglio 31 Giovedì calendario

FRANCESCO MANACORDA

MILANO
E alla fine la linea di Cesare Geronzi - edulcorata, ammorbidita, mediata, ma sempre e comunque sua - prevale in Mediobanca. Ieri il consesso dei grandi soci, riuniti prima nel patto e poi nel consiglio di sorveglianza, ha preso atto della «necessità di rivedere l’intero sistema dualistico». Al posto di questa governance a due piani, instaurata solo un anno fa e - questa l’obiezione - impraticabile dopo le istruzioni emanate in marzo da Bankitalia, i soci pensano adesso all’«opportunità di valutare l’adozione del sistema tradizionale». Ossia di tornare a quella struttura composta da cda e collegio sindacale alla quale si oppongono - o si opponevano - i cinque manager di Mediobanca riuniti nel consiglio di gestione e guidati dall’ad Alberto Nagel e da Renato Pagliaro. Anche i tempi sono stretti: il cambio dovrà essere approvato da un’assemblea straordinaria che si punta a far coincidere con quella di bilancio del 28 ottobre e che va convocata 45 giorni prima. Ergo, la nuova governance dovrebbe essere pronta per metà settembre.
Sulla decisione non si è votato, ma nessuno si è opposto quando Geronzi ha chiesto ai consiglieri se accettavano di considerarla come presa all’unanimità. Unanimità, dunque, compreso il sì di Unicredit, che prima aveva sostenuto il cambio di governance e poi aveva rettificato, spiegando che non l’avrebbe approvato se l’operazione avesse spaccato l’istituto. Ieri il presidente di Unicredit Dieter Rampl, ha definito «positiva» la decisione presa, perché «garantisce un corretto processo decisionale per trovare un consenso condiviso su una nuova governance», e recepisce «pienamente» le istanze poste dalla sua banca. Ma fino a martedì sera, i rappresentanti di Unicredit sembravano convinti che la soluzione che si profilava sarebbe stata più mediata.
Da Banca d’Italia nessun commento, ma il governatore Mario Draghi - in questi giorni molto attento alle evoluzioni della vicenda - sarebbe comunque abbastanza soddisfatto di vedere Mediobanca che si muove alla ricerca di una soluzione condivisa.
Come si attuerà in concreto l’esame della nuova governance e a quali risultati porterà? Il consiglio di sorveglianza ha già «dato mandato al comitato governance affinché metta a punto, sentito il management, il progetto di governance dell’istituto». Un progetto che dovrà avere la «configurazione più idonea ad assicurare la miglior efficienza della gestione ed efficacia dei controlli, il soddisfacimento degli interessi dell’azionariato e la piena valorizzazione del management». Garanzie ecumenicamente distribuite, ma nella sostanza un ritorno verso la governance tradizionale. E il pallino, attraverso il comitato governance - dentro ci sono Geronzi, Rampl, Marco Tronchetti Provera, Tarak Ben Ammar e l’indipendente Eugenio Pinto - è in mano ai soci che lavoreranno sulla bozza predisposta dal notaio Piergaetano Marchetti. Il testo prevede allo stato un cda con tre posti destinati ai manager nelle persone di ad, direttore e vicedirettore generale, mentre gli altri due manager parteciperebbero alle sedute come invitati. Un posto nel futuro consiglio verrà forse liberato, invece, da Luigi Zunino: proprio ieri si è saputo che ha esercitato un’opzione put sul 2% di Mediobanca scendendo dal 3 all’1 del capitale e mantenendo i diritti di voto per l’intera quota.
Se Geronzi vince ai punti, i cinque manager che siedono nel consiglio di gestione sono invece nell’angolo. Assai delusi dagli esiti della giornata di ieri ma uniti, nonostante le voci che li vorrebbero spaccati. Il mandato dei soci non dà loro spazi di manovra: saranno «sentiti» dal comitato governance, ma non avranno poteri decisionali sul nuovo statuto, anche se dovrà essere il consiglio di gestione a proporre le modifiche a quello di sorveglianza. Ieri Geronzi ha ventilato ai soci l’ipotesi di avviare un’azione di responsabilità proprio contro i manager per turbativa di mercato. Il motivo? Le loro minacce di dimissioni trapelate sui giornali avrebbero avuto effetti negativi sulle quotazioni del titolo.
Punture di spillo in quella che si annuncia come la prossima guerra di posizione.

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