Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri sono girate le prime foto di Radovan Karadzic. Davvero sorprendenti: un barbone bianco, baffoni, capelli abbondanti e sempre bianchi, occhialoni mai visti, uno sguardo spalancato e apparentemente pieno di stupore. Insomma, irriconoscibile. E infatti a Belgrado nessuno l’aveva riconosciuto. Così, col falso nome di Dragan Dabic, s’era impiegato in una clinica, sosteneva una sua medicina alternativa, grazie a questo partecipava a convegni e scriveva su riviste specializzate... Insomma, s’era rifatto una vita. Gli agenti serbi l’hanno arrestato sull’autobus che lo stava portando al lavoro...
• Senta, è tutto molto interessante, ma questo tizio di cui parlano tutti alla fine chi è?
È uno che in Bosnia... No, facciamo un passo indietro. C’era una volta la Jugoslavia, cioè la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Stia attento alla parola “federale”: erano infatti sei repubbliche federate, tutte con la parola socialista nel nome. La Repubblica socialista di Bosnia-Erzegovina, quella di Croazia, poi Macedonia, Montenegro, Slovenia più le due province socialiste del Kosovo e della Vojvodina. Di queste, la Repubblica più forte, quella che aveva in mano le leve del potere, era quella serba. In Serbia stava oltre tutto la capitale jugoslava, Belgrado. C’era un altro problema in questa Federazione: era piena di etnie diverse e di religioni diverse, certe sue Federazioni – per storia e costumi – potevano essere comprese nel nostro mondo occidentale, certe altre andavano considerate orientali, distanti da noi. Tutte queste diversità emersero tragicamente al momento della dissoluzione, nel 1992: non solo vi furono conflitti tra Repubbliche (serbi contro croati, per esempio), ma spesso all’interno della stessa repubblica scoppiarono guerre civili tra etnie o tra appartenenti a fedi diverse, per esempio cristiani contro musulmani. Tra le repubbliche più frazionate c’era la Bosnia.
• Lei ha detto che questo tizio – Karadzic – in Bosnia fece qualcosa.
Karadzic, qualche volta ritenuto bosniaco, è in realtà montenegrino. La famiglia veniva da Petnjica, il padre aveva combattuto contro Tito e per i monarchici. Non un bel curriculum. Quando Radovan aveva 15 anni lo spedirono a Sarajevo, caricando il viaggio di aspettative di rivincita. Volevano che quel figlio li riscattasse. E in effetti: si laureò in psichiatria, poi si dava arie da poeta, a casa sua (in Sutjeska ulica 2) teneva salotto. I circoli culturali della città lo avevano sulle scatole, tanto che l’altro montenegrino, lo scrittore Marko Vesovic, diceva: «Essendo mediocre in tutti i campi, si spaccia da grande psichiatra con i letterati e da grande scrittore con i medici». L’antipatia è comprensibile: Karadzic faceva carriera, carriera incomprensibile, aveva un appartamento per conto suo, Tito gli aveva permesso di andare a studiare in America, e addirittura di esercitare la libera professione. Come non invidiarlo e, nello stesso tempo, come non sospettarlo di traffici col regime? Era odiosa pure la moglie, questa Liljana che aveva messo incinta e che aveva dovuto sposare per forza, il suocero era andato a fargliela impalmare con una pistola in pugno. «Una con una faccia talmente cattiva, che si poteva noleggiare per i funerali», disse più tardi Miljenko Jergovic.
• Come arriva a diventare bosniaco?
Perché a un certo punto, dopo l’inizio della dissoluzione, cioè dopo il distacco pacifico dalla Federazione di Slovenia e Macedonia e dopo quello guerreggiato della Croazia, si proclamarono indipendenti anche i bosniaci e questo fece scoppiare una guerra civile tra le più sanguinose: in Bosnia convivevano almeno quattro religioni e almeno quattro etnie con quattro lingue e quattro alfabeti diversi. Karadzic vide nello scoppio di quella guerra civile la sua grande occasione. Traslocò a Pale, da lì fece bombardare Sarajevo, voleva creare la Repubblica dei serbi di Bosnia, intanto non si fece scrupolo di massacrare decine di migliaia di uomini, donne e bambini. Si calcolano duecentomila vittime in quella guerra – non tutte provocate dai serbi – e tra queste, in particolare, gli ottomila di Srebenica, un eccidio freddamente programmato da Karadzic ed eseguito dal suo braccio armato Mladic, che per ora resta latitante.
• Lo manderanno a morte?
Le autorità serbe hanno reso nota l’intenzione di estradarlo verso il tribunale dell’Aja, dove sarà processato.
• Perché non lo condannano a casa loro?
La cattura e la consegna al tribunale internazionale hanno un’importante contropartita politica: la Serbia vuole entrare nell’Unione europea. L’arresto di Karadzic rende la cosa meno difficile. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 23/7/2008]
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