La Repubblica 23 luglio 2008, GINO CASTALDO, 23 luglio 2008
Inni nazionali. La Repubblica 23 luglio 2008 Povero Inno di Mameli, bistrattato oltre ogni misura. Certo, non è l´inno tedesco, scritto da Haydn, non è la Marsigliese o il celebratissimo e imitatissimo God Save the queen degli inglesi, ma è pur sempre il simbolo dell´identità nazionale
Inni nazionali. La Repubblica 23 luglio 2008 Povero Inno di Mameli, bistrattato oltre ogni misura. Certo, non è l´inno tedesco, scritto da Haydn, non è la Marsigliese o il celebratissimo e imitatissimo God Save the queen degli inglesi, ma è pur sempre il simbolo dell´identità nazionale. Del resto il dito medio di Bossi non è certo una valutazione critica, è puntato contro quello che l´inno rappresenta. D´altra parte, difenderlo da un punto di vista puramente estetico e letterario è impresa ardua, pochi se la sentirebbero in un paese che oltretutto ha prodotto musiche straordinarie. I mugugni, di gran lunga più garbati e sommessi, ci sono sempre stati. Tutti forse ci sentiremmo più orgogliosi se l´inno fosse una melodia di indiscutibile bellezza. Ma alla fine, nei momenti solenni, siamo tutti pronti ad accettarlo, di buon grado, con quell´affetto che, avrebbe detto Gozzano, si deve alle buone cose di gusto non eccelso. addirittura successo, in posti sperduti e poco attrezzati, che qualche banda straniera al momento delle presentazioni ufficiali abbia suonato O sole mio, o Va pensiero, scambiandoli per il vero inno. Ma di incidenti di questo tipo è piena la storia, anche quella recente. A Melbourne, nel 2003, alla finale di Coppa Davis che opponeva Spagna e Australia, la banda locale incaricata della pratica degli inni, tirò fuori quello sbagliato. E la fece grossa. Invece della Marcia reale, conosciuta da una paio di secoli, benché di autore sconosciuto, in carica ufficiale dal 1942, eseguì l´Inno di Riego, una marcia repubblicana, notoriamente antimonarchica. Vista l´amicizia tra i due paesi l´offesa fu lavata con delle semplici scuse ufficiali. In altri tempi chissà come sarebbe andata, visto che gli inni a questo servono, a infiammare l´orgoglio collettivo di una nazione. Una necessità antica come il mondo. Perfino i crociati ne avevano uno, ovviamente religioso, Veni creator, che diceva più o meno: «vieni spirito creatore, vieni a visitarci, vieni a illuminare l´anima dei tuoi figli». E poi i popoli, con l´affermarsi dell´idea di stato-nazione, hanno sentito sempre di più il bisogno imprescindibile di almeno due simboli: una bandiera e un inno nazionale. Oggi ce ne sono, accertati, 203, dai più solenni ai più bucolici, dai più guerreschi a quelli più devotamente religiosi. Ne ha uno la Città del Vaticano, ne ha uno perfino l´arcipelago di Tuvalu, appena 26 km quadrati di mare con qualche isoletta (si intitola Samoa Tula´i), alcuni sono recentissimi visti gli sconquassi nei Balcani e nell´impero sovietico (quello della Georgia, intitolato semplicemente Libertà, è del 2004). I più recenti prediligono descrizioni amene e rassicuranti dei paesaggi nazionali, quelli più antichi sono nati spesso in momenti di emergenza rivoluzionaria, e quindi esaltati come canti di lotta, di identità nazionale, anche se creati da autori modesti, ed è esattamente quello che è successo nel nostro paese. Di fatto compositori illustri come Gounod e Haydn, si trovano a convivere con musicisti poco più che amatoriali. La musica dell´inno italiano è stata scritta, pochi lo sanno, da un certo Michele Novaro, modesto compositore genovese devoto alla causa del Risorgimento, morto povero e malato, ovviamente ignaro che la sua musica avrebbe avuto tanta insperata fortuna. Ma una cosa in comune l´inno di Mameli e la Marsigliese ce l´hanno, fanno entrambi parte di quella speciale categoria di inni scritti in lampi brevissimi di creatività. Rouget de Lisle scrisse il testo dell´inno più famoso al mondo in una notte, Mameli in poche ore (e si vede, diranno i maligni), addirittura improvvisando i primi versi seduta stante a casa del console americano a Genova in un incontro di patrioti (e la leggenda narra che iniziasse con Evviva l´Italia, anziché Fratelli d´Italia). Stessa velocità, del resto, con cui fu concepito l´inno americano, scritto di getto da Francis Scott Key davanti a Baltimora in fiamme. Rimane il fatto che i modelli assoluti sono stati l´inno francese e quello inglese, ben diversi tra loro, e per questo complementari, ambedue musicalmente molto efficaci, l´uno per il suo fervore rivoluzionario, l´altro per la maestosa solennità. Due modi diversi di rispondere alle principali funzioni a cui deve rispondere un inno. Deve emozionare, deve rappresentare l´anima collettiva, deve permettere l´identificazione nell´idea di stato-nazione, deve infiammare i cuori. E lo sanno bene gli Svizzeri. La loro canzone nazionale, un inno non ufficiale ma non per questo meno sentito, era un tema dal titolo Le Ranz des vaches, che descriveva talmente bene la dolcezza pastorale dei paesaggi montani da suscitare nei soldati mercenari che servivano sovrani di altri paesi un incontenibile sentimento di nostalgia, e la voglia di tornare a casa immediatamente. Sta di fatto che alla fine adottarono un ibrido, un testo svizzero adattato alla melodia dell´inno inglese. Ma i cittadini svizzeri esigevano una melodia propria, e solo nel 1981 hanno ottenuto che il loro inno ufficiale diventasse l´attuale Schweizer Psalm. Guai comunque a insultare un inno, e in Italia ne sappiamo qualcosa. La Francia ha istituito il reato di vilipendio pochissimo tempo fa. Prima, a quanto sembra, non ce n´era bisogno, la Marsigliese piaceva a tutti, il suo ardore di libertà l´ha resa per così dire inattaccabile, e fu perfino citata dai Beatles all´inizio di All you need is love, la canzone che fu cantata nel primo esperimento di trasmissione televisiva in Mondovisione. Abbastanza per solleticare l´orgoglio nazionalista dei francesi. Se anche Serge Gainsbourg ne aveva fatto una versione quantomeno ironica, a tempo di reggae, nessuno si era infastidito più di tanto. Ci sono voluti i fischi durante la partita Francia Algeria nel 2001, e quelli alla finale della Coppa di Francia nel 2002 tra Lorient e Bastia per scatenare un moto di indignazione nel parlamento, con conseguente dibattito e istituzione di pene pecuniarie e qualche mese di prigione. La Marsigliese è il più antico degli inni ufficiali, anche se ha avuto una storia tribolata. Fu adottato nel 1795 e poi nuovamente nel 1879, ma ci sono state altre parentesi, fortunatamente brevi, come quando il governo di Vichy impose nel 1940, con poca fortuna, un canto intitolato Marechal, nous voilà. Altro che Inno di Mameli. Ma ci sono anche casi di scritture nobili. Il Senegal ha avuto il privilegio di avere un presidente scrittore, Leopold Sedar Senghor, a cui è toccato ovviamente occuparsi dell´inno nazionale. In Asia c´è addirittura un caso doppio. Il premio Nobel per la letteratura nel 1913, Rabindranath Tagore, ha scritto il testo sia dell´inno del Bangladesh che di quello indiano. Anche per la Norvegia ci si è messo un premio Nobel, il meno conosciuto Bionstjerne Bjornson. Da noi sono stati un patriota dalla penna enfatica e un musicista minore. Questo ci è toccato, ma che dire, alla fine, come si fa a volergli così male? GINO CASTALDO