Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il tribunale di Roma ha dichiarato lo stato d’insolvenza della compagnia di navigazione Tirrenia. La Uil Trasporti presenterà probabilmente ricorso. Il ministro Matteoli, in una dichiarazione rilasciata ieri sera, ha promesso che non ci sarà lo spezzatino.
• Tre frasi, tutte da spiegare. Stato d’insolvenza?
Significa che la compagnia non è in grado di pagare i suoi debiti. Deve dare almeno 520 milioni a 53 banche, fra cui Unicredit e Intesa, e almeno altri 100 milioni a Fintecna, che è la sua controllante, cioè quella che la possiede. Fintecna è a sua volta posseduta dal ministero del Tesoro. Stiamo dunque parlando di una compagnia pubblica, come era pubblica Alitalia. Anzi della più grande compagnia di navigazione pubblica in Europa, con 25 traghetti e 2.200 dipendenti, 600 dei quali impiegati dalla controllata Siremar (collegamenti con la Sicilia). Come nel caso di Alitalia, non si contano gli sprechi e gli episodi di cattiva amministrazione. Un paio di dati per farle capire che i conti non tornano: il 70 per cento del fatturato proviene da dodici navi (meno della metà di quelle in patrimonio) e da dieci linee, di cui tre stagionali e sette annuali. Il debito totale sarebbe più alto dei 620 milioni dichiarati. Gli ultimi dati certi (fine 2008) fotografavano un’esposizione – tra debiti e finanziamenti – di 758 milioni con un fatturato annuo di 634 milioni, peraltro finto perché 251 milioni erano il risultato di sovvenzioni pubbliche.
• Allo Stato non converrebbere vendere?
Lo Stato deve vendere, perché glielo ha intimato l’Unione europea. La Corte di Giustizia dell’Unione europea vuole capire se i soldi ricevuti dalla compagnia tra il 1976 e il 1980 sono da considerare aiuto pubblico oppure no, e se si appurasse che si tratta di aiuti pubblici quei denari andrebbero restituiti. Negli ultimi 25 anni la Compagnia ha bruciato 6,4 miliardi. Alcuni hanno calcolato che a ogni stacco di biglietto la comunità versa nelle casse di quel pozzo senza fondo 15 euro. L’Europa insomma ci ha ordinato di chiudere con questo business impresentabile. È quindi stata indetta un’asta. Al primo round, di metà febbraio, si sono presentati in 16: i principali armatori italiani (tranne Gianluigi Aponte, c’erano tutti: dalla Moby alla Gnv) e una sfilza di fondi d’investimento (da F2i a Carlyle). A metà maggio, quando scadeva il termine per rinnovare le manifestazioni d’interesse, erano rimasti in otto. Alla vigilia dell’ultimatum per il deposito delle offerte vincolanti (lunedì 28 giugno), erano rimasti in due: il fondo Cinven e la Mediterranean Holding, una cordata capeggiata dalla Regione Sicilia col 38% delle azioni. Se la Mediterranean avesse vinto, quindi, la privatizzazione che ci chiede l’Europa sarebbe consistita in un passaggio della Tirrenia da un ente pubblico a un altro ente pubblico! La Mediterranean s’era impegnata ad accollarsi 520 milioni di debiti e a versare 25 milioni in dieci anni. Alla fine l’asta è andata deserta, per via di una clausola-capestro che imponeva all’acquirente di mantenere le sue promesse anche se le banche creditrici non fossero state d’accordo.
• Una vicenda simile alle aste per Alitalia, no?
Questa volta però bisogna chiudere entro il 30 settembre, altrimenti l’Unione europea farà scattare la procedura d’infrazione. I giocatori seduti intorno al tavolo sono lo Stato, la Regione Sicilia del governatore Lombardo (la situazione politica dell’isola, col Pdl spaccato, rende complicata la sua partita), i sindacati che hanno come unico interesse i posti di lavoro (e perciò tifano per la Sicilia) e gli armatori di tutto il mondo che aspettano l’occasione di papparsi un boccone parecchio succulento.
• Perché succulento? Se ci sono tutte quei debiti…
Se venissero messe all’asta le linee… Ci sono anche le concessioni per la garanzia del servizio pubblico: Tirrenia prende 72 milioni l’anno, chi compra potrebbe ereditare contributi per 1,2 miliardi di 12 anni. Ma mettere all’asta le linee significa mandare a casa una buona parte dei lavoratori. È lo spezzatino che i sindacati non vogliono a nessun costo e che Matteoli (sponsor di Mediterranean) promette di non fare. In ogni caso la Uiltrasporti ha annunciato per il 30 e per il 31 agosto uno sciopero dell’intera flotta.
• Che cosa significa il ricorso contro la dichiarazione di insolvenza?
La Uil sostiene che il tribunale competente è quello di Napoli, dove ha sede legalmente la società, e che quindi Roma non avrebbe dovuto pronunciarsi. Ricorreranno su questo punto, sperando non so in quali benefici. Che Tirrenia non sia in grado di pagare i suoi debiti e che possa navigare, grazie all’ennesimo finanziamento a perdere, solo fino al 30 settembre mi pare fuori discussione. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 13/8/2010]
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