Varie, 13 agosto 2010
HUSCHER Cristiano
HUSCHER Cristiano Bergamo agosto 1950. Medico • «[...] ex primario al San Giovanni [...] primatista di processi. Ne ha collezionati 40: 37 assoluzioni, 3 condanne [...] Chirurgo dell’impossibile, dei casi più complessi. “Sono vittima del sistema. Pensi, le denunce sono partite da un collega, poi si sono accodati i familiari dei pazienti deceduti. [...] il giudizio di operabilità è direttamente proporzionale alla bravura. Ho regalato anni di vita a persone date per spacciate, ho affrontato operazioni con un tasso di mortalità del 5-10% e rischio di complicanze del 47% come quelli pancreatici. Dieci ore al tavolo operatorio [...] Siamo l’unico Paese dove si può denunciare il medico che tu stesso hai scelto. E magari incappi nel pubblico ministero che ti condanna”» (M.D.B., “Corriere della Sera” 16/11/2008) • «“Ridà la vita ai moribondi”. “È senza scrupoli”. Qualche suo malato lo giudica “un santo, uno che ridà la vita ai moribondi”. Altri hanno di lui una pessima opinione: lo definiscono “uno senza scrupoli”, uno famoso perchè tenta di operare anche là dove altri chirurghi lasciano il bisturi e ripongono solo nella chemioterapia un barlume di speranza [...] ottiene l’ abilitazione ad esecitare la carriera di medico chirurgo nel 1975 nell’università di Modena e dall’anno successivo lavora nel Sant’Orsona Fatebenefratelli di Brescia. Fegato, pancreas, vie biliari, stomaco, ma anche collo e cranio: ovunque ci sia una neoplasia, ovunque si sia annidato il male, Huscher interviene con operazioni tradizionali o con sofisticate tecniche (in laparoscopia). I casi più disperati, che gli altri rifiutano di operare, finiscono tutti da lui. Diventa così uno dei più esperti nel settore della chirurgia mininvasiva endoscopica. La casistica operatoria dal giugno del 1998 al dicembre del 2000 nell’ ospedale San Giovanni è impressionante: 16 mila endoscopie digestive, 600 endoscopie operative, 14 mila ecografie diagnostiche e operative e 1.540 esami di fisiopatologia digestiva. Parla tre lingue (francese, inglese e tedesco) ed ha frequentato dal 1976 al 1996 stages di aggiornamento professionale a Parigi, Madrid, New York e Miami. La voci su casi di malati gravissimi morti nei reparti di Huscher dopo essere stati operati diventano esposti alla magistratura. Il chirurgo ha sempre respinto le accuse: “Non posso mica guarire tutti...”» (Francesco Di Frischia, “Corriere della Sera” 3/11/2005) • «[...] è un medico di campagna. Uno che viene dalla Val Camonica, vicino al passo del Tonale. Esine è un paese di capre e di buon formaggio, e con un ospedale super efficiente. Arrivavano chirurghi dagli Stati Uniti per incontrare quel medico di campagna, per poterlo osservare mentre operava: Huscher [...] faceva il primario lì, ma era già conosciuto in tutto il mondo. Aveva sviluppato, insieme ad altri quattro medici (di New York, Strasburgo, Osaka e Bruxelles) una tecnica sconvolgente, innovativa: le cannule al posto degli squarci nella pancia per asportare i tumori, forellini di pochi millimetri invece dei tagli, pazienti in grado di muoversi e camminare poco dopo l’operazione, vite salvate senza devastarle. Chirurgia laparoscopica, si chiama, ci si possono curare anche i calcoli renali e la spina bifida direttamente nella pancia della mamma. I cinque medici si parlavano per videoconferenza, studiavano ognuno sui libri dell’altro, e Huscher a ogni libro allega un dvd con le operazioni, perché chi ne ha voglia possa imparare. Uno preciso, rompiballe, in ospedale dalle sette del mattino alle undici di sera, uno che s’incazza se vede una carta per terra in corsia. Uno talmente pieno di titoli che arriva primo a ogni concorso. Alla fine Roma non ha potuto più fare a meno di lui, ha dovuto chiamarlo per forza, con quel nome, con quella fama: è arrivato [...] al San Giovanni, dove la chirurgia laparoscopica era solo un sogno, o una rottura da studiare. È arrivato ma gli hanno subito detto che era stata una gran fatica, che in molti non lo volevano, motivi politici di mancate raccomandazioni, lui medico di campagna con fama internazionale ma senza blasone, lui rompiballe e gran lavoratore. Ottomila malati operati in sei anni, significa più di milletrecento all’anno, significa qualcosa che il San Giovanni non aveva mai visto prima. Significa che molti medici sbuffavano, e al caffè di piazza San Giovanni avevano tempo anche per i comizietti, per i salotti, per preparare denunce [...] Huscher aveva venticinque chirurghi da dirigere (quanti in America ne ha un intero ospedale), perché in Italia non ci si può stancare troppo. Aveva venticinque chirurghi, migliaia di pazienti e nemmeno un climatizzatore nel reparto. Niente aria condizionata per l’estate romana da quarantadue gradi con i malati in rianimazione. Niente frigorifero dove mettere una bottiglia d’acqua. Neanche un fornetto per scaldare un panino. In amministrazione, dove Huscher andava a protestare, aria freschissima: “Staccatene qualcuno da qua, di climatizzatori, portiamoli dai malati”. No, Huscher, non è possibile, e non romperci i coglioni. Ma Huscher è un rompicoglioni vero e i climatizzatori se li è andati a comprare, con i soldi suoi. Oltre ai quadri, le piante, i frigoriferi e i fornetti. Dicono che “entrare nel reparto di Prima chirurgia era come entrare in Svizzera passando dal Togo”. Anche se un giorno arrivò e c’erano le infermiere in piedi su un bancone che urlavano. “Un topo!”. Un topo in sala rianimazione, e il giorno prima un paziente l’aveva visto, ma essendo un ex bevitore nessuno gli aveva creduto, anzi avevano pensato di dargli del valium. Un’altra volta, invece, un malato in sala rianimazione aveva addosso le formiche. Tutto scritto nelle note alla direzione, insieme alla faccenda dei barboni. I barboni la notte andavano a dormire nei corridoi della sala operatoria, perché era tutto aperto, anche se teoricamente non doveva esserlo. Stavano lì, facevano pipì lì, e anche altro, fin dentro la sala operatoria. Il tribunale di Roma non ha giudicato la cosa sconvolgente, ma “normale”. E Huscher il solito rompiballe del nord. Intanto, le denunce. I pazienti (e i parenti) lo chiamavano per dirgli che il tal medico li spingeva a denunciarlo. Milletrecento operazioni all’anno, dieci o dodici morti all’anno, perché il caso era disperato, perché subentravano complicazioni, perché gli uomini non sempre ce la fanno. Ma alcuni suoi collaboratori appena potevano lo denunciavano, fotocopiando per uso personale le cartelle mediche. Accusandolo perfino di operare senza ragione, tanto per provare gli strumenti della Johnson&Johnson, con cui l’ospedale aveva una collaborazione. Accuse che riguardavano operazioni normalissime, non in laparoscopia, non con i nuovi strumenti. Un giorno Huscher era a Chicago (lui insegna un po’ dappertutto, a Tel Aviv a Chicago a Strasburgo a Cleveland: opera i malati e poi affianca il chirurgo locale in una nuova operazione, per insegnare la tecnica) e un medico importante gli ha detto: dicono di te che la Johnson&Johnson ti ha comprato il primariato a Roma. Cose così, di quelle che distruggono il morale, di quelle che fanno diventare nervosi. Anche il fisco gli hanno mandato, e il fisco ha concluso, dopo l’indagine, che l’ospedale doveva a Huscher sessanta milioni di lire. È andata avanti così per sei anni, tra infermieri che di notte staccavano gli allarmi per poter dormire in pace (e Huscher una notte ha fatto la prova, si è messo sotto le lenzuola e ha suonato ininterrottamente, dall’una di notte alle cinque del mattino: nessuno si è affacciato per vedere se il paziente stava schiattando) e medici che dovevano mettersi i camici infetti del giorno prima, perché nessuno li aveva lavati. Poi qualche medico del San Camillo gli ha detto: fai il concorso, vieni qui, abbiamo bisogno di te. E il direttore sanitario del San Giovanni gli ha tolto il contratto di insegnamento, per dispetto: hai fatto la domanda per andar via di qua? Io ti faccio questo. A Huscher che gli chiedeva di rallentare i lavori di ristrutturazione dell’ospedale, “danneggiano l’igiene dei malati”, ma che dovevano essere finiti in tempo per le elezioni, il direttore generale Francesco Bevere rispose con il licenziamento: “È venuta meno la fiducia”. Licenziamento per giusta causa, e i pazienti in sciopero della fame per protestare. Allora una contromanifestazione davanti al San Giovanni delle “vittime” di Huscher, ma i carabinieri accertarono che erano ragazzi della sezione di An del quartiere. [...] Al San Giovanni lo rivolevano, ma poi non se ne è fatto nulla, e intanto i pazienti sono calati del sessanta per cento. Prima i più grandi chirurghi del mondo andavano al San Giovanni a studiare la laparoscopia. [...] Cristiano Huscher è un rompiballe che cerca di far funzionare un reparto e di insegnare la sua tecnica a chi la vuole imparare. Ha un brutto carattere, “odio chi non lavora” e pensa che un ospedale italiano possa funzionare come quello di Heidelberg, o di Washington. Forse quindi è anche pazzo» (Annalena Benini, “Il Foglio” 16/12/2005) • «[...] La sentenza con la quale la corte d’Assise di Roma, il 12 novembre 2007, ha condannato Cristiano Huscher, non è lettura consigliata a chi deve entrare in un ospedale. “Appena arrivato al San Giovanni di Roma - dichiara uno dei 14 medici che hanno denunciato il chirurgo - assicurò che ci sarebbe stato un certo numero di Dcpa, duodenocefalopancreasectomia, che è l’intervento più costoso, difficile e demolitivo nel campo della chirurgia gastroduodenale. Fece molti di questi interventi. Alla paziente R. A., ricoverata per calcolosi della colecisti, il primario - chiamato in sala operatoria dagli aiuti perché c’erano delle aderenze - diagnosticò immediatamente un cancro alla colicisti e si apprestò a una Dcpa con asportazione anche di parte dello stomaco e del fegato”. In questi casi, prima di tagliare, si sospende l´operazione e si fa subito l’esame su un campione di tessuti. Il risultato arriva dopo pochi minuti. “Telefonarono in sala dicendo che si trattava non di cancro, ma di una colicisti antegranulomatosa, cioè una semplice infiammazione che sarebbe guarita quasi spontaneamente. Dissi al primario di fermarsi perché si trattava di un intervento assurdo, lui mi disse che non capivo nulla. Anche l’esame istologico successivo confermò la diagnosi di colecisti solo infiammata, ma sulla cartella clinica venne refertato ‘cancro della colecisti’. Il primario ha sempre ragione. ‘So io cosa devo fare’, ‘Voi siete solo dei coglioni’: queste le risposte a chi si permetteva di obiettare”. Solo alcuni di questi casi portano alla condanna. F. T., una donna, ha un linfoma che deve essere curato solo medicalmente. Il dottor Huscher - dicono i giudici - effettua invece “con urgenza e in assenza di diagnosi certa, un intervento aggressivo, altamente demolitivo, con asportazione di organi vitali fra cui l’intestino”. La donna morirà dopo 36 giorni. M. E., un’altra donna, viene operata di colicistectomia. “Husher e altri tre medici, per colpa consistente in imprudenza, negligenza ed imperizia, causavano la morte di M. E. perché proseguendo l’intervento per via laparoscopica, nonostante la constatata difficoltà all’introduzione di ulteriori cannule di lavoro a causa della presenza di numerose aderenze… provocavano la perforazione di un’ansa ileale”. Per F. T. 3 anni e 6 mesi di reclusione, per M. E. 1 anno e 6 mesi. Il giudizio sul chirurgo è pesantissimo. “Huscher diagnosticava cancri inesistenti e demoliva organi, contro il parere di altri chirurghi… Tenendo conto che la tariffa regionale di rimborso per una Dcpa, senza considerare i giorni di ricovero, era di 11.811,89 euro, è lecito ipotizzare che le costose operazioni tanto praticate dall’Huscher siano state scelte per ragioni economiche e non cliniche, assicurando all’azienda ospedaliera notevoli guadagni”. Molto prima delle condanne Ernesto Giannini, presidente dell’associazione Altiero Spinelli, aveva chiesto a gran voce e con scarso successo alle istituzioni quale fosse la “chiara fama” che aveva portato il chirurgo in ospedale e in cattedra senza concorsi. [...] Il professor Huscher si dichiara sicuro della propria innocenza. “Sono stato licenziato dal San Giovanni di Roma perché avevo detto che l’ospedale era sporco e pieno di medici che non lavoravano. Io sto in ospedale 15 ore al giorno, i colleghi che mi hanno accusato pensano al tennis. Io sono di Bergamo, ho lavorato lì e in altre città. A Milano ho fatto 1.300 interventi e non ho avuto nessuna denuncia. Al Nord non ho mai avuto problemi, al Sud mi attaccano. Anche a Isernia chi lavora mi vuole molto bene, chi non lavora mi vuole molto male. Le condanne? Tutte di primo grado. [...] Andate a vedere quanti interventi fanno, in un mese, i colleghi che mi hanno accusato. Io sono uno che accetta anche chi viene mandato via dagli altri ospedali. Se c’è una speranza, io opero. [...]” [...]» (Jenner Meletti, “la Repubblica” 11/4/2008).