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Corsivi e commenti
Toscani
Corriere della Sera
Quanti complotti contro il governo più amato dagli italiani. L’ultimo coinvolge il presidente di metà Consiglio, Luigi Di Maio. A fine luglio la rivista Forbes decide di dedicargli la copertina del numero di settembre. Qualche amico di Mario Monti la considererà una scelta eccentrica, dal momento che «Forbes» si occupa di economia. Come dedicare l’apertura di Science a Fabrizio Corona. Ma per noi appassionati di Di Maieutica si tratta di un atto dovuto. Senonché qui arriva il tranello. Per scattare la foto viene chiamato Oliviero Toscani, il Michelangelo daltonico dei Benetton.
In base al sacrosanto principio «Uno vale uno», Di Maio avrebbe dovuto sostituirlo con un cacciatore di selfie scelto a caso nell’elenco dei troll che inneggiano a Toninelli, ma gli sarà sembrato scortese. Non poteva immaginare che, di lì a un paio di settimane, l’uomo che lo stava ritraendo bello come il sole e le altre cinque stelle sarebbe diventato per l’opinione pubblica il simbolo dei radical-chic al servizio degli impulloverati veneti. L’immagine di Toscani che inneggia ai migranti mentre spalma caviale anti-Putin su tartine di cachemire nella villa dei quarantaquattro fratelli Benetton è l’incubo di ogni elettore dotato di senno.
Un complotto in piena regola, povero Di Maio. E gli è andata ancora bene. Pensa se Toscani lo avesse fotografato in maglione.
Massimo Gramellini
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Perseguitato
la Repubblica
Essendo probabile (lo pensiamo in tanti; ce lo insegnò Berlusconi) che il ruolo di “perseguitato dai giudici” porti a Salvini più popolarità e più voti, torna a brillare sopra le nostre teste l’antico monito della politica vera, quella che ha lo sguardo lungo: non si cambia una società se non cambia la sua gente. Non ci sono scorciatoie, non ci sono alibi o trucchi che reggano la scena. Se gli italiani in buona maggioranza considerano eroe o Messia un bullo, lo votano oppure gli sono complici, ai cittadini di buona volontà non rimane che la fatica costante, paziente, quotidiana di fare e di dire qualcosa, ognuno nel suo, che riporti a princìpi migliori, a una cultura più gentile e a una società più rispettosa.
Soprattutto rispettosa degli ultimi e dei fragili (gli eritrei della Diciotti sono una sintesi inimitabile del concetto).
È l’obbligo della politica nei due sensi: che è obbligatorio fare politica soprattutto quando la politica genera pessime cose; e che la politica è obbligata a manifestarsi anche quando è soccombente, impopolare, impotente. Non bisogna avere paura e nemmeno fretta, i tempi sono lunghi anche nell’apparente velocità di un evo nel quale tutto sembra volatile e di corto respiro. Viviamo a stretto contatto con chi considera Salvini un grand’uomo e bisogna starci senza spocchia. Questo è l’aspetto più complicato: senza spocchia, anche quando verrebbe spontaneo sentirsi, se non migliori, persone meglio informate dei fatti.
Michele Serra
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Mago Magò
La Stampa
Altro che democrazia diretta o rappresentativa, alla stragrande parte di noi italiani poco interessa di essere rappresentati, o di decidere. Vogliamo semmai decidere chi debba decidere, vogliamo sapere chi sarà il Mago Magò che con un abracadabra dissolverà i mali e le ingiustizie. Venticinque anni fa il Mago Magò era Antonio Di Pietro, e i suoi numerosi colleghi ed emuli del tempo e degli anni a venire. Magistrati che dicevano cose così: «Il nostro obiettivo non è rappresentato da singole persone, ma da un sistema che cerchiamo di ripulire». E ci sembrava normale che anziché indagare reati indagassero regimi. Qualsiasi strappo alla regola era trascurabile davanti al traguardo prodigioso della purificazione. È stato lì, con l’abrogazione in una notte dell’immunità parlamentare, con la messa in mora del Parlamento per mano suicida del Parlamento, che abbiamo cominciato a giocarci il potere legislativo. Ogni avviso di garanzia, si sa, era legge scolpita nella pietra, e il vento soffiò sempre contrario anche al Berlusconi delle più ampie vittorie. La magistratura non si discute, dicevamo. E che succede ora? Che arriva un avviso di garanzia a Salvini comunicato a mezzo stampa (altra bizzarria quotidiana come il pane), e di colpo si sente che il vento è cambiato. Adesso il Mago Magò è un altro. Giù le mani da Salvini. Che arrivasse questo giorno era prevedibile e previsto, e forse è arrivato. Adesso verso il traguardo della purificazione, con le buone o con le cattive, ci condurrà Salvini, e così, dopo venticinque anni di prestidigitazioni togate, ci stiamo giocando anche il potere giudiziario.
Mattia Feltri
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Animali
il Giornale
Riflessione tra gli animali africani. Circondato, all’interno del Parco Kruger, in Sudafrica, in una bellissima casa, nella quale mi ha ospitato un amico inglese, colto e gentile, David Gold, rifletto sulle differenze tra gli uomini e gli animali. Vedo qui scimmie, maestosi rinoceronti, famiglie di elefanti, elegantissime zebre, leoni dominanti uno stuolo di leonesse, leopardi in contemplazione del tramonto, borbottanti ippopotami emergenti da piccoli laghi, facoceri minacciosi e cornuti, regali giraffe che sfiorano le cime degli alberi, coccodrilli come sculture egizie, immobili e scattanti. Particolare tenerezza, nella loro mansueta potenza, fanno gli elefanti, stretti in gruppi familiari, con bambini tra le gambe, in un’antica e perenne consuetudine di protezione. Li osservo e penso che tutti questi diversi animali fanno da millenni le stesse cose. Gli uomini, che hanno arricchito il mondo rendendolo più bello, sono buoni e cattivi come gli animali. Amano e uccidono. Ma ciò che li rende così diversi sono i mutevoli costumi e l’attitudine al tradimento. Gli uomini cambiano abitudini per noia; e così forzano la loro natura con improvvise novità nei loro rapporti, e manifestano una inclinazione alla infedeltà, pervertendo l’ordine delle cose: sul piano politico, sul piano artistico, sul piano sessuale. E quindi, mentre degli animali puoi prevedere le mosse, degli uomini non le puoi veramente conoscere e puoi aspettarti di tutto.
Vittorio Sgarbi
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CrisiItaliaOggi
Da quando Silvio Berlusconi disse (e sono passati ormai 15 anni) che la crisi non c’era perché in Italia i ristoranti erano pieni, e fu subito sommerso dai sollazzi dei suoi oppositori, azzardare valutazioni nasologiche di questo tipo è molto pericoloso. Prendendo il rischio del caso e senza voler smentire l’Istat, ci mancherebbe, ci inoltriamo anche noi su questo terreno sdrucciolevole, partendo però da un dato di fatto concreto e ineccepibile. L’anno scorso, l’attività produttiva è ripresa alla grande due settimane dopo Ferragosto. Invece quest’anno, ieri, 27 agosto, la città di Milano (la più insonne d’Italia, si dice) era ancora priva di milanesi. L’orda dei rientri è evidentemente rimandata al prossimo weekend. Il motivo? Non lo so. Forse è perché i disoccupati almeno si godono, almeno, le vacanze. Oppure perché girano più euri, come amano dire in molti. In Francia il «dolce far niente» non lo traducono nemmeno. Lo capiscono tutti.
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