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 2018  agosto 28 Martedì calendario

I delitti di Hollywood. 1947, agguato al boss che gioca con i divi

«The Story», aveva intitolato la bozza della sceneggiatura. C’era tutto, nella Storia: la Mafia, l’amicizia, il tradimento, il culto della celebrità, la nuova frontiera, il lusso, il peccato. Jean-Luc Godard, il genio scapigliato della Nouvelle Vague, ne era ossessionato. Per la parte del protagonista aveva pensato prima a Vittorio Gassman, poi a Robert De Niro. Ma non se ne era fatto nulla: Bugsy gli sfuggiva, era «larger than life», più grande della vita, forse anche del cinema che aveva tanto corteggiato. E così il regista francese, come il gangster di New York 40 anni prima, non era riuscito a conquistare Hollywood.
Pazzo come una cimiceIl soprannome Bugsy – da «crazy as a bedbug», pazzo come una cimice – affibbiatogli per gli improvvisi cambi di umore, non gli piaceva affatto. Ma era così che tutti lo conoscevano. Benjamin Siegel, figlio di immigrati ebrei arrivati dall’Ucraina, era nato a Williamsburg, Brooklyn, nel 1906, un secolo prima che il quartiere diventasse cool. È poco più che un bambino quando trova nel crimine la sua strada: con gli amici Moe Sedway e Meyer Lansky mette su un piccolo racket di estorsione nel Lower East Side chiedendo soldi ai venditori ambulanti in cambio di protezione per i loro carretti. Sembra di rivedere la giovinezza di C’era una volta in America. Le cose vanno talmente bene che a 21 anni ha già un appartamento tutto suo al Waldorf-Astoria. Entra nei giri malavitosi che contano: Lucky Luciano, Frank Costello, Vito Genovese. Di un altro mafioso, Whitey Krakow, sposa la sorella, Esta, da cui avrà due figlie.
Nel 1933 Murder Inc. – ovvero il braccio armato del «National Crime Syndicate», l’alleanza tra gangster ebrei e italiani – fiaccato dai colpi della polizia decide di allargarsi a Ovest. Nessuno sembra più adatto di Bugsy all’impresa. Capelli neri impomatati e profondi occhi blu, curatissimo nel vestire, spietato, ma non privo di un certo senso dell’umorismo, appena arriva a Los Angeles mette le mani sul business delle scommesse e pianta i semi del traffico di narcotici con il Messico; nel tempo libero si infila anche nel grande giro delle star di Hollywood.
A introdurlo è un caro amico di infanzia, George Raft, che dalla strada era scappato in tempo e il gangster lo faceva solo nei film (sarà il sicario «Ghette» di A qualcuno piace caldo). Bugsy è infatuato del cinema, il cinema di lui. Non che non si sapesse chi fosse. James Stewart, per esempio, prova a mettere in guardia Cary Grant. «Senti Jimmy – gli risponde secco il futuro eroe di Intrigo internazionale —, ho già parlato con Raft: mi ha detto che se Bugsy vuole che tu gli diventi amico, bisogna che gli diventi amico».
Anche l’arresto nel 1941 per l’omicidio avvenuto due anni prima dell’(ex) sodale Big Greeny Greenberg per Siegel si risolve in poco più che una scocciatura. In carcere Bugsy ha a disposizione uno chef personale, alcolici, visite femminili, telefonate illimitate. Poi le cose si sistemano «da sole»: due testimoni spariscono, e con loro le accuse. Considerato dalla polizia responsabile di decine di omicidi, in tutta la vita Siegel verrà condannato solo per due offese minori, entrambe liquidate con una multa.
La sua vita hollywoodiana procede senza altri intoppi. Millicent, la figlia più grande, ha avuto per madrina Jean Harlow, la diva dai capelli di platino, e adesso prende lezioni di equitazione con Elizabeth Taylor. 
Le gambe di VirginiaQuando Warren Beatty, che interpreta Bugsy nell’omonimo film di Barry Levinson (1991), incontra la coprotagonista Annette Bening, corre dall’amico regista: «È fantastica, la sposo». Levinson non prende troppo sul serio lo slancio del più famigerato tra gli american lover. E invece, 27 anni dopo, oggi la coppia Beatty & Bening è una delle più longeve di Hollywood.
Le vite del vero Siegel e di Virginia Hill si incroceranno per molto meno. Scappata a Chicago dall’Alabama, Virginia fa la cameriera e la prostituta prima di diventare la «donna di fiducia» dei boss: in una missione a New York conosce Bugsy; quando si ritrovano a un party a Los Angeles scatta la scintilla.
Sono i giorni in cui la mafia decide di mettere un piede in Nevada, dove le scommesse sono legali e il terreno non costa nulla. Las Vegas è solo un avamposto nel deserto. Bugsy viene a sapere che William Wilkerson, editore dell’Hollywood Reporter, sta cercando di aprire una sala da gioco di lusso, ma gli mancano i fondi. Grazie a Murder Inc., la coppia Siegel & Hill non ha problemi di liquidità: il cantiere può partire. 
Campi da golf, tennis, badminton, squash, palme importate dall’Oriente: Las Vegas non aveva mai visto una tale opulenza; e nemmeno l’America. Si chiamerà «Flamingo», come Bugsy aveva soprannominato Virginia per le sue gambe da fenicottero. I costi dell’opera però sono fuori controllo, da un milione di dollari a sei. Troppi, anche per un boss abituato a fare colazione con Clark Gable e Gary Cooper. Il giorno dell’inaugurazione, il 26 dicembre 1946, è carico di cattivi auspici: un tremendo acquazzone blocca a Los Angeles la maggior parte delle star. Ma sotto il diluvio, quella sera, nasce lo Strip, che diventerà una delle strade più famose al mondo, meno di 7 chilometri sui quali oggi si affollano una trentina di casinò e gli alberghi più lussuosi (e pacchiani) degli Stati Uniti. Flamingo compreso. 
Una foto segnaleticaRincuorato dai primi guadagni, il 20 giugno 1947 Siegel rientra con il suo elicottero da Las Vegas a Beverly Hills e si dirige all’810 di North Linden Drive, la sua casa di 16 stanze. Si siede sul divano e apre il Los Angeles Times. Pochi secondi dopo, la finestra è frantumata da una raffica di colpi. Uno gli fa schizzare l’occhio fuori dall’orbita – nello stesso modo morirà nel Padrino Moe Greene, uno dei tanti gangster di fantasia ispirati a Bugsy —, gli altri lo finiscono in pochi secondi. I vicini sentono gli spari, un’auto sgommare, poi più nulla.
Un’ora più tardi, l’amico Moe Sedway e altri gangster entrano al Flamingo e annunciano che da quel momento il casinò è sotto il loro controllo. Nel solo primo anno la folle creatura di Siegel renderà alla mafia 4 milioni di dollari. Virginia è a Parigi, poi scappa in Messico, quindi sposa un istruttore di sci e si trasferisce definitivamente in Europa. Nel 1966 verrà trovata morta nella neve nei dintorni di Salisburgo; in un biglietto si descrive «stanca della vita». 
Quanto agli assassini di Bugsy, la polizia non li scoverà mai: il suo omicidio, 70 anni dopo, resta il più celebre caso irrisolto nella storia di Beverly Hills. La versione più accreditata è che in un incontro tra boss all’Avana, al cospetto dell’«esule» Lucky Luciano, anche il caro amico Lansky, a malincuore, avesse dato il via libera a farlo fuori. Era perché il Flamingo era costato troppo, o forse Bugsy aveva sottratto dei fondi? C’è anche chi dice che Chick, fratello minore di Virginia, ex marine, volesse fargliela pagare perché aveva picchiato la sorella.