La Stampa, 28 agosto 2018
Al Qaeda sfida l’Isis: “Califfato in Afghanistan”
Il capo di Al Qaeda Ayman al-Zawahiri lancia la sfida ad Abu Bakr al-Baghdadi e punta a costruire un suo Califfato a partire dai territori controllati dai taleban in Afghanistan. I due più pericolosi terroristi al mondo hanno duellato con messaggi audio in Rete, per assumere la guida dell’universo jihadista. Sono due leader reduci da pesanti sconfitte e braccati da eserciti e truppe speciali di tutto il mondo, ma ancora in grado di mobilitare seguaci dal Marocco all’Indonesia. Il discorso di al-Zawahiri è arrivato il giorno dopo quello dell’autoproclamato califfo al-Baghdadi, tornato a farsi sentire dopo un anno. Il medico egiziano, che ha preso le redini di al-Qaeda dopo la morte di Osama bin Laden, ha però usato un tono diverso. Mentre il «califfo» dell’Isis conduce una guerra contro tutto e tutti, compresi i gruppi islamisti rivali, al-Zawahiri punta, a parole, a «unire». Con un modello e una strategia ben precisi.
Il modello è «l’emirato dell’Afghanistan», fondato dal mullah Omar nel 1996 e sopravvissuto a 17 anni di intervento americano e della Nato. La capacità di riorganizzarsi dopo la disfatta del 2001, quando Kabul e il resto del Paese caddero in poche settimane, è il frutto secondo al-Zawahiri della capacità dei taleban di «unire» tutte le formazioni jihadiste. Gli «studenti coranici», in effetti, hanno il controllo totale o parziale di oltre un terzo del territorio e agiscono in sintonia con altri gruppi di guerriglieri e terroristi, tranne l’Isis, perché al-Baghdadi e al-Zawahiri si sono «scomunicati» a vicenda.
Al-Zawahiri ha tenuto però un profilo più basso, non ha mai osato proclamare la rinascita del califfato e assumerne la guida, anche se cita spesso la sua dissoluzione, nel 1924, come la causa di tutti i mali dei musulmani, da allora divisi e sottoposti «all’occupazione» da parte delle potenze occidentali. Il capo di al-Qaeda ha ribadito la sua fedeltà, «bayah» al leader dei taleban, Hebatullah Akhundzada, che l’ha accettata. Il leader dell’«emirato benedetto», cioè l’Afghanistan talebano, è quindi il più «alto in grado» in questa gerarchia jihadista. E attorno al suo emirato dovrà ricostituirsi il «vero» nuovo califfato. Al-Zawahiri ha chiesto a tutti i gruppi satelliti di al-Qaeda di giurare a loro volta fedeltà ai taleban. Ha costituito una al-Qaeda nel subcontinente indiano, Aqis, che avrà il compito di «proteggere il fianco» dell’emirato afghano.
L’obiettivo di al-Baghdadi e di al-Zawahiri è in realtà identico, riunire tutti i gruppi jihadisti sotto un’unica guida, cacciare i «crociati» e alla fine ricostituire l’Ummah, l’unione di tutti i musulmani dall’Atlantico all’Oceano indiano. Ma per ora le due coalizioni si combattono fra loro, soprattutto in Afghanistan. I taleban hanno ucciso centinaia di combattenti dell’Isis nel Nord del Paese, a volte con la tacita collaborazione delle forze di sicurezza afghane. Lo Stato islamico ha inviato oltre mille foreign fighter, molti reduci dalla Siria, ma è riuscito a radicarsi soltanto nella provincia di Nangargar. La doppia sfida alla Nato e ai taleban lo sta dissanguando. Nel weekend è stato ucciso da un raid della coalizione il leader locale dell’Isis, Abu Sayed Orakzai. L’unità fra i jihadisti, per nostra fortuna, è ancora lontana.