Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Rajoy-Puigdemont muro contro muro: come si risolverà il rebus catalano?
La rivincita dell’indipendentismo, la sconfitta di Rajoy e in mezzo ancora il caos. Potrebbe essere questa la sintesi del voto catalano. È un dato di fatto che il blocco indipendentista ha ottenuto di nuovo la maggioranza parlamentare: 70 seggi, due in più di quelli necessari per controllare il Parlament. Il problema è che le tre formazioni – Junts per Catalunya dell’ex presidente Carles Puigdemont, Esquerra Republicana, la sinistra indipendentista dell’ex vicepresidente Oriol Junqueras e la Cup, la sinistra radicale – sono parecchio diverse tra di loro e hanno trovato l’unico punto d’incontro nella strada dell’indipendenza. Dall’altra parte il partito unionista dei Ciudadanos ha ottenuto un successo storico con il 25,3% dei suffragi, pari a 37 seggi, il che ne fa il primo partito della regione. Il problema è che, anche con i seggi dei socialisti e del Partito Popolare (quello del premier Mariano Rajoy), Ciudadanos non ha i voti sufficienti per creare una maggioranza di governo. Osservando quindi i due blocchi, indipendentista e anti-indipendentista, i risultati di giovedì sono molto simili a quelli ottenuti alle elezioni del 2015, quelle da cui era uscito il governo di Puigdemont: l’indipendentismo ha vinto, ma non abbastanza per agire in via unilaterale; l’anti-indipendentismo ha perso, ma non del tutto. La Catalogna rimane spaccata in due.
• Ora cosa succede?
Entro il 23 gennaio dovrà tenersi la sessione costitutiva dell’assemblea catalana, mentre il primo turno per l’elezione del presidente dovrà svolgersi entro il 10 febbraio. Se per aprile non ci sarà un nuovo presidente, scatterà in automatico lo scioglimento dell’assemblea con nuove elezioni a fine maggio. Puigdemont, il leader della lista indipendentista più votata, sarebbe il naturale candidato a ricevere la fiducia parlamentare ma se tornasse in Spagna verrebbe arrestato per sedizione e ribellione.
• A proposito, Puigdemont si è fatto sentire?
Ha indetto una conferenza stampa a Bruxelles, dove ormai si trova in esilio da novembre, in cui ha sentenziato che «nelle urne catalane lo Stato spagnolo ha perso, la Repubblica catalana ha sconfitto la monarchia spagnola». Ha quindi invitato il premier Rajoy «a rispettare l’esito del voto» e accelerare il ritiro dell’articolo 155, ovvero porre fine al commissariamento della Catalogna da parte del governo centrale. «Abbiamo diritto alle nostre istituzioni, negli ultimi anni ci siamo sempre assunti le nostre responsabilità – ha detto – l’articolo 155 non garantisce un Paese migliore, è solo una minaccia». Poi l’ex presidente catalano ha proposto a Rajoy un incontro «fuori dalla Spagna». Aggiungendo: «Tornerò in Catalogna se ci sono garanzie del rispetto della democrazia».
• Rajoy cosa ha risposto?
Che non ci pensa proprio e che intende sedersi al tavolo «con chi ha vinto le elezioni, cioè Inés Arrimadas», la leader del partito unionista Ciudadanos, che ha ottenuto il maggior numero di seggi ma non ha i numeri per formare un governo. Rajoy si è detto pronto a ritirare il commissariamento della Catalogna, quando ci sarà un nuovo governo nella regione.
• Quindi ora torneranno liberi tutti i politici incarcerati?
Gli ordini di carcerazione sono stati emessi dai tribunali, sono i giudici a decidere, ha detto in sostanza Rajoy, e l’esito del voto non influirà sulle decisioni della giustizia. «Sono i politici che devono sottomettersi alla giustizia come qualsiasi altro cittadino e non la giustizia che deve sottomettersi a qualsiasi strategia politica», spiega il premier spagnolo. Il dato impressionante è che 17 deputati su 135, cioè il 12,6% dei membri del nuovo Parlament, sono incriminati dalla giustizia spagnola, tre neo-onorevoli sono in carcere e tre in esilio inseguiti da mandato di arresto. Tutti sono accusati di ribellione per avere portato avanti (pacificamente) il progetto politico dell’indipendenza e rischiano 30 anni di carcere.
• In ogni caso mi pare tiri una brutta aria per Rajoy.
La sua strategia per combattere l’indipendentismo è stata un completo fallimento. Il suo Partito Popolare in Catalogna è passato da 11 a 3 seggi. E la batosta è stata doppia: da una parte il consolidamento dei separatisti, dall’altra l’exploit dei centristi di Ciudadanos, che hanno fatto il pieno di voti nel blocco unionista. Rajoy è bersagliato da ogni parte, la sinistra lo accusa di aver ignorato per troppo tempo le richieste dei catalani e la destra gli imputa, al contrario, una debolezza eccessiva con i golpisti. Il premier assicura che non ci saranno elezioni nazionali anticipate ma la sua poltrona non sembra salda. Ieri ha lasciato il governo lo storico capo di gabinetto, Jorge Moragas, per andare a fare l’ambasciatore spagnolo all’Onu. «Avevo deciso da un anno», ha spiegato, ma sarebbe ingenuo pensare a una coincidenza. E oggi si gioca pure Real Madrid -Barcellona...
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