Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  dicembre 23 Sabato calendario

Banche, i segreti celano l’intreccio politica-affari

Nel suo celebre saggio su Il futuro della democrazia Norberto Bobbio identificava negli arcana imperii, nel ricorso alla segretezza, uno dei più efficaci strumenti del potere e uno dei maggiori pericoli per la democrazia. Il monito di Bobbio è di attualità quando si consideri l’indagine sulle banche affidata all’apposita Commissione bicamerale. Troppi sono infatti gli elementi emersi nel corso dell’indagine che risultano secretati. Secretati sono i nomi dei grandi debitori delle banche esaminate, secretati una parte dei documenti depositati, secretati alcuni verbali. Anche se appare comprensibile la preoccupazione espressa dal presidente Casini che i lavori della Commissione siano usati per alimentare una già infuocata campagna elettorale anziché per indicare futuri interventi legi-slativi, il segreto apposto su alcuni degli elementi emersi appare un rimedio peggiore del male che si vuole scongiurare. Inevitabile, infatti, che sugli elementi secretati corrano voci che danno spazio a interrogativi inquietanti, cui è opportuno che in un sistema democratico venga invece data una risposta pronta e pubblica. 
È noto, ad esempio, che la riforma delle banche popolari attuata dal governo Renzi, abolendo il voto capitario e trasformando tali banche in spa, le rese contendibili determinando un notevole aumento nel valore delle loro azioni quotate. Tra le banche quotate alla Borsa di Milano oltre ad alcuni grandi istituti (Banco Popolare, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare dell’Emilia Romagna e così via) figurava anche la ben più piccola Banca Etruria. Il balzo nel valore delle azioni delle banche popolari nei due mesi precedenti il decreto legge che diede il via alla riforma fu del 10-25%, mentre quello delle azioni di Banca Etruria – che di lì a tre settimane sarebbe stata commissariata e posta in risoluzione per la sua fallimentare situazione – fu nella settimana precedente il decreto di quasi il 70%. Indice indubbio che proprio su Banca Etruria si concentrarono manovre speculative e operazioni di insider trading. Anziché disputare solo su chi Maria Elena Boschi abbia incontrato e a qual fine, più utile sarebbe conoscere chi operò in quel periodo sulle azioni di tali banche per escludere che membri del governo, loro familiari, o persone fisiche o giuridiche a essi vicine, abbiano messo in atto forme di insider trading. Altrettanto utile sarebbe riflettere sul perché si sia ricorso per la riforma delle banche popolari a un decreto legge. Se la riforma fosse stata invece affidata ai tempi di un disegno di legge e alle possibilità emendative del Parlamento il rischio di insider trading avrebbe avuto dimensioni ben diverse da quelle consentite da un decreto legge. Né questo è il solo interrogativo in proposito: è vero ad esempio – come alcune fonti suggeriscono – che Consob abbia condotto una analisi delle operazioni di Borsa effettuate in tale periodo sui titoli delle popolari? Tale analisi è stata trasmessa alla Commissione? E in tal caso perché essa è stata secretata? È vero che essa sia stata trasmessa da Consob ad alcune Procure della Repubblica, indice che l’Autorità di controllo ha ravvisato la possibile esistenza di reati? E ancora: in tali analisi emergono operazioni effettuate da amministratori o da interessi a loro vicini sui titoli delle popolari in questione, a cominciare da Banca Etruria? Vi sono state operazioni condotte dall’estero, e in particolare da finanziarie israeliane o comunque da società off shore? 
Gli interrogativi si potrebbero moltiplicare, ma credo sia già evidente come il mantenere secretato quanto emerso e a disposizione della Commissione non solo sia di nocumento a una piena conoscenza di quanto accaduto, ma contraddica quel principio di trasparenza che è uno dei principali requisiti di un regime democratico. Siamo già nel pieno di una tormentata e per molti aspetti decisiva campagna elettorale, e i partiti si accingono a selezionare i propri candidati. La mancanza di trasparenza pone a rischio una corretta selezione della nostra classe politica. Tutti gli elettori, e non solo i duecentomila cittadini colpiti dalla crisi delle banche, hanno il diritto di conoscere i responsabili di uno dei più negativi affaires che abbiano segnato la nostra Repubblica. In altri sistemi politici – dalla Francia degli anni Trenta agli Stati Uniti dello scandalo dei mutui subprime o all’Inghilterra della manipolazione dell’indice Libor preso a base dei prestiti interbancari – i responsabili sono stati identificati e allontanati. Occorre che anche in Italia, ogni qualvolta che l’intreccio tra politica e affari sveli le sue nefaste conseguenze, ogni segreto venga rimosso.