Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ci sono altri quattro morti sul lavoro: bisognava lavare un camion sporco di residui di zolfo, un operaio è entrato nel serbatoio e ha perso quasi subito i sensi per le esalazioni. Una seconda persona è allora entrata nella cisterna ed è morta in pochi istanti anche lei. Con lo stesso sistema, uno dietro l’altro, altri tre uomini: il quinto è stato alla fine portato all’ospedale e mentre scriviamo è in rianimazione. Ma ci sono poche speranze di salvarlo [Michele Tasca, di 19 anni: è morto il giorno dopo - ndr].
• E’ tremendo. Lei però ogni tanto racconta queste cose senza dirci il chi e il dove...
Ha ragione. Siamo a Molfetta, periferia industriale, un capannone che si occupa della manutenzione dei grandi veicoli. L’azienda – una micro-impresa, per quanto se ne sa finora – si chiama Truck Center, cioè, in italiano, “Centro per camion”. Il titolare è un uomo di 64 anni, di nome Vincenzo Altomare. Sono le quattro del pomeriggio e c’è questa cisterna da lavare, la cisterna di un mezzo che trasporta zolfo. Bisogna sapere che lo zolfo è, tra i veleni in circolazione, forse il più terribile. Se respirato, non dà speranza. Per lavorare un contenitore di zolfo, che manderà certamente zaffate mortali prima di essere pulito, bisogna mettersi in testa uno scafandro. Il primo operaio è andato a fare quel lavoro senza metterselo. E l’ha pagata carissima. Ma ascolti: l’uomo che è intervenuto in suo soccorso è lo stesso titolare dell’azienda, Altomare. Morto quasi subito anche lui. E il terzo coraggioso che ha provato a dare una mano era l’autista di un altro camion che stava parcheggiato lì accanto, non un dipendente della ditta. E gli altri due che sono intervenuti con questo terzo infelice erano suoi compagni di viaggio anche loro, non dipendenti della ditta. Lei vuole i nomi? Glieli dico subit Vincenzo Mangano di 44 anni, Biagio Sciancalepre di 24, Luigi Farinola, di 37. Oltre ad Altomare. Il nome del quinto, che mentre scriviamo è in ospedale, non è ancora stato reso noto.
• Ma non c’erano, in azienda, delle bombole, qualcosa per soccorrerli in tempo?
Medici intervistati dai giornalisti hanno spiegato che basta un fiato di zolfo per perdere ogni speranza: viene bruciato l’ossigeno nel sangue, si muore per asfissia ematica. Per tentare una rianimazione bisognerebbe intervenire con l’ossigeno, ma pochi secondi dopo l’incidente. Tra quelli che piangono questi altri quattro morti c’è una donna che aspetta una bambina, che nascerà tra poche settimane già orfana.
• Sono colpito dal fatto che una delle vittime è lo stesso padrone dell’azienda.
In Italia ci sono tra i 1200 e i 1600 morti all’anno per incidenti sul lavoro. Nel decennio 1997-2006, l’anno peggiore è stato il 2001, con 1.546 vittime. Quello meno tragico il 2005 con 1.280. La polemica politica spinge i sindacati e i partiti di sinistra a inserire ogni incidente nello schema: padrone cattivo che vuole risparmiare i soldi, e lavoratore buono che ci lascia la pelle. Questo schema è corretto molte volte e anzi, forse, la maggior parte delle volte. Ma ci sono situazioni in cui la tragedia è provocata da superficialità, dabbenaggine, ignoranza. Direi che questo è uno di quei casi. Il livello di inconsapevolezza è tale che persino il padrone, in teoria sempre malvagio, va a morire per il suo operaio!
• Ho sentito alla televisione che c’è una legge in arrivo.
Non è una legge, sono i decreti attuativi di una legge approvata in agosto. Il Parlamento, sette mesi fa, ha incaricato il governo di provvedere al problema con le norme che riterrà più opportune, e che entreranno in vigore subito. Il governo aveva tempo fino a maggio e s’è ridotto agli ultimi due mesi. Ma, a quanto pare, ci sarà un consiglio dei ministri già questa settimana per provvedere.
• Che cosa si deciderà?
Si procederà nell’inasprimento delle pene per i datori di lavoro restii ad applicare le norme. Nei cantieri edili – il punto maggiormente dolente – la scoperta del 20% dei lavoratori in nero porterà alla sospensione dell’attività. Nelle gare d’appalto, i costi per la sicurezza non saranno ammessi ai ribassi. La parte più importante riguarda però gli ispettori: ne saranno spediti sul territorio altri trecento, per un investimento di 20 milioni. chiaro che l’unico modo per costringere i datori di lavoro a comprare gli scafandri e per costringere i lavoratori a indossarli è di coglierli in fallo prima, e non dopo. Perché questo avvenga, bisogna però che gli ispettori del lavoro capiscano quello che vedono, siano cioè non laureati in qualche disciplina amministrativa, come accade troppo spesso, ma possibilmente ingegneri. E che non abbiano consulenze con le ditte che devono controllare. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 4/3/2008]
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