Francesco Anfossi, Famiglia Cristiana n. 32 del 2002, 4 marzo 2008
Quando ricorda la morte di Paolo VI, quel 6 agosto 1978, Giovanni Bazoli ha un quasi impercettibile calo di voce
Quando ricorda la morte di Paolo VI, quel 6 agosto 1978, Giovanni Bazoli ha un quasi impercettibile calo di voce. In una delle stanze dell’antico e solenne edificio di Ca’ de Sass, il quartier generale di Banca Intesa, il presidente abbassa le palpebre per ritrovare le immagini di quei giorni. «Rivedo quella bara semplice, in legno chiaro, la brezza vespertina che scompiglia le pagine di una Bibbia posata sul feretro. E ci fu, alla fine, un fatto che mi sorprese». Quale, professore? «Quell’applauso che si levò dalla folla mentre il feretro si allontanava dalla piazza e spariva dentro la basilica. Posso sbagliarmi, ma è stata la prima volta nella storia che si è applaudito a un funerale, almeno a quello di un Papa. Anche a ripensarci, risulta paradossale e commovente allo stesso tempo che proprio al Papa che non aveva mai fatto nulla per sollecitare popolarità, così timido e riservato nei confronti della folla, sia toccato di ricevere il primo applauso della storia a un funerale». La testimonianza su Montini da parte del banchiere che fu protagonista della rifondazione e del salvataggio dell’Ambrosiano, tra i fondatori dell’Istituto Paolo VI, non può che sfociare inevitabilmente nei ricordi della sua famiglia. I Bazoli e i Montini erano due famiglie borghesi legate tra loro per affetti, amicizie, affinità civili e spirituali. Due querce piantate nella società bresciana che intrecciano i loro rami da almeno tre generazioni. Giovan Battista Montini non ha mai dimenticato le sue radici, l’humus entro il quale è maturata la sua vocazione. Bazoli spiega che da questa terra Paolo VI ha ereditato due doni fondamentali: l’amore per Cristo (da cui deriva l’ansia di diffondere e attuare le verità evangeliche) e l’amore per l’uomo (da cui nasce l’esigenza di valorizzare la vita e le cose temporali). Caratteristiche che fanno di Brescia una città particolare, per l’alto senso civico che ha sempre ispirato la Leonessa. Paolo VI a New York nel 1965 (foto AP). «Sono tanti i ricordi che mi legano a Paolo VI. Un po’ sbiaditi i più remoti, al tempo in cui ero ragazzo; più vividi da quando egli divenne arcivescovo di Milano», prosegue l’avvocato banchiere. «Mio nonno Luigi, dopo essere stato praticante nello studio di uno dei numi tutelari di Brescia, Giuseppe Tovini, fondò un proprio studio legale (che chiuse nel breve periodo in cui fu deputato del Partito popolare, ritenendo che ci fosse incompatibilità. Nell’Italia di oggi, che sembra diventata la patria dei conflitti d’interesse, uno scrupolo del genere sarebbe davvero impensabile). Poi nello studio entrarono mio padre Stefano, mio zio Ercoliano e il fratello maggiore di Giovan Battista, Ludovico. E così lo studio divenne Bazoli-Montini». Quella cena in Vaticano Uno dei primi ricordi risale ai tempi in cui Montini era sostituto segretario di Stato: una cena nel suo appartamento in Vaticano, alla quale Bazoli partecipò con il padre Stefano, allora parlamentare democristiano, e altri commensali. «Erano cene abbastanza libere, senza vincoli di diplomazia. Fu nel periodo dei Governi De Gasperi, quando era in discussione la scomunica ai comunisti. Mio padre era molto perplesso su questo punto. Montini, più che parlare, ascoltava e faceva domande; riservato e prudente, era sempre molto interessato a conoscere le opinioni degli altri». Bazoli ricorda incontri successivi, che si riferiscono agli anni in cui egli soggiornò a Roma per frequentare i corsi di Giurisprudenza. A quel tempo il padre era tornato a Brescia dove aveva ripreso l’esercizio della professione di avvocato. «Alle elezioni del 1953 l’organizzazione locale del partito non lo aveva ricandidato, interrompendo così un’esperienza politica che papà aveva interpretato come una vera missione». Rimasto vedovo giovanissimo, Stefano Bazoli non si era più risposato. Oltre alla cura dei due figli, Luigi e Giovanni, la professione forense e la politica furono gli impegni principali della sua vita. «L’attività politica di papà fu troncata in quel modo, eppure egli non reagì, non polemizzò, non disse una parola. Semplicemente, riprese a fare l’avvocato». Davanti al portone di bronzo Del suo periodo universitario a Roma, Bazoli ricorda una cena a casa dell’avvocato Giuseppe Tacci, un amico dei deputati bresciani, che conosceva bene il futuro Paolo VI. «Andai a prendere in automobile l’allora monsignor Montini in Vaticano, dove lo riportai dopo cena, lasciandolo davanti al portone di bronzo. In quell’occasione egli mi parlò con trasporto di mio nonno Luigi, dicendo tra l’altro che di lui aveva sempre ammirato la qualità della scrittura. da tener presente che quando Montini aveva avvertito la vocazione, il padre Giorgio gli aveva suggerito di confidarsi anche con il suo grande amico Luigi Bazoli. Sì, credo che in quella fase della sua vita e anche dopo abbia avuto con mio nonno un rapporto di singolare intensità spirituale». Rievocando il momento della nomina di Montini ad arcivescovo di Milano, Bazoli racconta un episodio divertente. «Dopo la notizia della sua nomina andai, per conto di mio papà, con l’avvocato Tacci a comprare un regalo da un antiquario dalle parti di piazza di Spagna. Acquistammo un piccolo crocifisso, che l’antiquario avvolse in un drappo di velluto, numerose volte, troppe. Ricordo ancora il mio imbarazzo mentre, dopo aver aperto il pacchetto, il neo arcivescovo svolgeva il drappo che avvolgeva l’oggetto in un’infinità di giri. "Speriamo di trovare qualcosa, alla fine", disse sorridendo, mentre continuava a girare. Alla fine spuntò quel minuscolo crocifisso e lui, che nella sua estrema delicatezza d’animo si era reso conto di aver aggravato il mio imbarazzo, si impegnò a tesserne le lodi». Dai ricordi degli incontri romani a quelli milanesi. «Arrivai in arcivescovado in ritardo di un buon quarto d’ora. Ero assistente all’Università Cattolica; gli studenti, dapprima, e poi il traffico mi avevano trattenuto. In anticamera il segretario mi diede un’occhiataccia. Ma lui fu gentilissimo e rimase con me a lungo, per una conversazione non poco impegnativa per me: gli interessava l’opinione di un giovane sulla situazione della Cattolica a quel tempo». Il giorno dell’elezione Arriviamo al giorno in cui Montini fu eletto Pontefice. Bazoli vide Paolo VI pochissimi giorni dopo l’elezione: «Ero con Fausto, suo nipote. Ci avevano detto che, al termine di un’udienza, ci avrebbe incontrato. Si fermò a parlare con noi, in piedi. E anche in quell’occasione portò il discorso su mio nonno. Ma l’incontro più commovente fu nei giorni seguenti le mie nozze, nel ”66. Il fratello Ludovico aveva ottenuto per noi un’udienza privata. Paolo VI conversò con me e mia moglie Elena per un’ora, abbandonandosi alle memorie bresciane. E parlò anche di mia mamma». Il racconto di Giovanni Bazoli viene a toccare uno dei momenti più dolorosi per la sua famiglia. Beatrice Folonari era una giovane molto bella, appartenente a una delle famiglie della borghesia bresciana, imparentata con i Montini (anche Ludovico sposò una Folonari). Una grande sensibilità Morì quando Giovanni aveva tre mesi, per un’infezione derivata dalla puntura in volto di una spina di rosa. Quella morte così assurda, a soli 29 anni, fece un’enorme impressione. «Il Papa ricordò gli incontri con lei e con mio padre. E si commosse. Ma in quel momento non avevo colto un particolare, che mi fece notare mia moglie mentre uscivamo. Nel parlare di mia mamma, il Papa l’aveva descritta come una donna bella, intelligente e buona. Capisce? Per prima cosa, bella. La sensibilità e l’umanità del Papa ci avevano incantato». E incantato è ancor oggi Bazoli nel sottolineare come Paolo VI, passato alla storia come il Papa dell’austerità, amletico e tormentato, fosse in realtà un uomo di straordinaria ricchezza umana, sensibile alle bellezze del Creato, ai valori e ai beni della realtà terrena. E tutt’altro che incapace di sorridere, di gustare le cose belle della vita. Una volta, Bazoli lo fece sorridere, con una battuta, durante una cena a Castel Gandolfo con il fratello Francesco Montini e altri amici. «Quando Paolo VI ci congedò, Francesco mi bisbigliò: "Hai visto come si è divertito?". Vedemmo scomparire la figura bianca in una sala, poi in un’altra. E Francesco disse: "Povero fratello mio, quale solitudine, quale peso". Erano i tempi dell’enciclica Humanae vitae».. Francesco Anfossi