Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’esercito sudanese ha intercettato i componenti della banda che tiene in ostaggio 19 persone e ne ha uccisi sei. Tra i rapiti, come si ricorderà, ci sono anche cinque italiani che erano andati giù a far turismo: Lorella Paganelli (49 anni), Giovanna Quaglia (52), Walter Barotto (68), Mirella De Giuli (70) e Michele Barrera (72), tutti di Torino e provincia. I banditi non s’erano fermati a un posto di blocco e i soldati hanno sparato. Altri due malviventi sono sopravvissuti alla sparatoria e, una volta catturati, hanno raccontato di far parte della banda dei sequestratori. Il conflitto, per quello che s’è capito finora, non è servito a liberare i prigionieri: durante la battaglia sarebbe arrivato un commando composto da 35 persone che si sarebbe preso in carico i 19 e li avrebbe portati con sé da qualche parte.
• Sono ancora in Sudan?
O forse in Ciad. Quello che hanno fatto sapere da Khartoum, la capitale del Sudan, è che a questo punto è sicuro che i sequestratori appartengono a una qualche fazione connessa alla guerra civile del Darfour. uscito fuori anche un nome, Bakhi, che apparterrebbe al capo dei rapitori. Bakhi – dicono in Sudan – è uno dei sei ammazzati nella sparatoria di ieri. Bakhi è un nome non infrequente da quelle parti, esiste anche una santa Giuseppina Bakhi o Bakhita, una bambina schiava che per le sofferenze subite aveva perso la memoria e che fu riscattata da Callisto Legnani. Sono vicende di cento e passa anni fa.
• Gli egiziani che cosa dicono?
Assolutamente niente. Non hanno confermato neanche la sparatoria. Sostengono che il riscatto lo devono pagare i tedeschi. Perché, naturalmente, c’è un riscatto da pagare.
• Quanto?
L’altro giorno era sembrato di capire che tra sequestratori e mediatori era stato raggiunto un accordo per sei milioni di dollari. Era giovedì scorso e la banda con i prigionieri s’era spostata in Libia (è molto probabile che questa sia la versione più corretta anche se Gheddafi nega). L’intesa sul denaro non significava che il problema era risolto. C’erano altre due questioni: le modalità del rilascio degli ostaggi; e la garanzia che il governo libico non avrebbe consegnato i banditi alle autorità sudanesi. La fase davvero delicata e pericolosa è quella del rilascio. Non si può mai sapere se, al momento cruciale, qualcuno non metterà mano alla pistola o se i banditi non cambieranno idea all’ultimo momento, per astuzia o per spavento. Il nostro Calipari morì proprio durante la fasce del rilascio di Giuliana Sgrena.
• Secondo lei non si sarebbe potuta tentare una qualche azione per liberare quei poveretti?
Quei poveretti intanto spero che abbiano modo di mettere a frutto la lezione durissima che la realtà sta infliggendo loro. Lo dico anche a beneficio di quelli che si mettono all’avventura senza riflettere. Quando si casca in una trappola come questa le sofferenze che si infliggono a se stessi e agli altri sono incommensurabili. E il resto del mondo deve poi impegnare denaro e fatica per venirti a salvare. Quanto a un blitz per liberare gli ostaggi, gli egiziani avrebbero voluto provarci, ma i tedeschi e soprattutto gli italiani non hanno voluto assolutamente. I rischi per la vita dei nostri connazionali e degli altri sarebbero stati altissimi.
• Come si fa a trattare con rapitori come questi?
un problema, non solo perché sono inaffidabili ma perché si spostano di continuo. Nel nostro caso: i 19 dovrebbero essere stati intercettati all’estremo confine meridionale egiziano, in un territorio che confina con Libia e con Sudan. I sequestratori li hanno poi trasferiti in Libia, quindi sono tornati in Sudan e dopo il conflitto a fuoco di ieri sera potrebbero essersi rifugiati in Ciad. Di solito gli si parla attraverso telefoni satellitari. Dalla parte degli ostaggi da liberare ci sono uomini dei servizi segreti. Il giornale egiziano Al Dostur ha scritto che una spia del Cairo ha avuto nei giorni scorsi un incontro con i rapitori nel deserto. Ha riferito che, quel giorno (ma non sappiamo che giorno fosse e neanche il posto dove si sarebbe stabilito il contatto), gli ostaggi erano in buone condizioni e avevano scorte d’acqua, di viveri e di carburante apparentemente sufficienti. Però notizie più recenti davano queste scorte in esaurimento, ed era anche per questo che si sperava in una prossima liberazione. Tenere 19 persone sotto custodia non è uno scherzo. Comunque, ha tenuto i contatti con i banditi anche Kirsten Butterweck, la titolare dell’agenzia Aegyptus, che ha organizzato il viaggio. Suo marito è tra i rapiti. Kirsten, pare, parla con vari capitribù e guide, che poi riferiscono a chi sanno loro e così i messaggi passano di bocca in bocca e con lo stesso sistema tornano indietro. Oltre al satellitare laggiù è ancora in vigore l’antichissimo metodo del passaparola. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 29/9/2008]
(leggi)