Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Oggi, Festa dell’Immacolata Concezione. Ieri, come sempre, prima della Scala, con capi di Stato, attrici, uomini politici, giornalisti, belle donne e, naturalmente, anche appassionati. Abiti meno sfarzosi del solito, per esempio Marta Marzotto s’è presentata con un vestito di 15 anni fa, tutto trasparenze e perline, spiegando ai cronisti che i tempi sconsigliano sfoggi eccessivi. E del resto anche la scenografia di Braunschweig era assai semplice, una doppia cornice al cui interno si svolgeva il dramma…
• Che era? Abbia pazienza, perché non l’ha ancora detto.
Ma il Don Carlo di Verdi, no? Non lo sa? Prima c’è stata la minaccia di sciopero, poi lo scandalo del tenore Filanoti, chiamato due mesi fa al posto di Alvarez, con cui la Scala aveva litigato, tenuto a far prove fino all’altro ieri e dopo la prova generale messo da parte perché, a quanto pare, non troppo in forma. Filanoti se l’è presa e ha rilasciato un’intervista al Corriere dove parla di tradimento. Ieri sera però s’è mosso con grande stile: è venuto a sentire il primo atto, seduto in terza fila e ai giornalisti che lo pressavano ha detto di augurare ogni bene alla Scala.
• Come si fa a mandar via un cantante 48 ore prima della prima?
Perché le opere hanno sempre due interpreti per ciascun ruolo, in modo che si possa far fronte anche all’eventualità di una malattia o di una caduta di voce. Filanoti, un bel ragazzo calabrese di 34 anni, doveva cantare la prima e la seconda. L’americano Stuart Neill, molto richiesto in genere per il Requiem di Verdi, sarebbe entrato in scena dalla terza replica. Hanno proposto a Filanoti di diventare quello del secondo cast e lui s’è rifiutato. Certo, Neill è grossissimo e viene da sorridere a vedere gli spasimi tra lui e la sua futura matrigna Elisabetta. Ma del resto, a suo tempo, i tenori avevano l’obbligo di perder la testa per la pachidermica Montserrat Caballé.
• E la prima come è stata?
Daniele Gatti, milanese, che a Roma portano in palmo di mano, s’è preso un po’ di buu alla fine del primo atto. Erano i loggionisti. La platea lo ha difeso applaudendo. Niente di grave. L’ultima volta che hanno fatto il Don Carlo alla Scala, il tenore era Pavarotti, la regia era di Zeffirelli, la direzione d’orchestra di Muti. Era il 1992. In un certo passaggio piuttosto difficile, un filo di saliva intasò le corde vocali di Pavarotti. Il grande tenore ebbe un’incertezza, i loggionisti lo subissarono di fischi. Zeffirelli dice che si trattava di un incidente banale e che i loggionisti furono aizzati dallo stesso Muti che non aveva in simpatia Pavarotti «perché detestava prendere i tempi da un cantante». All’esterno, contestazioni: genitori con bambini della scuola materna che strillavano contro la Gelmini, vigili urbani armati di fischietto che se la prendevano per le condizioni di insicurezza in cui devono lavorare, radicali contro il parcheggio di Sant’Ambrogio, Cub contro i vip che «ingrassano i pescecani della finanza e tagliano salari, pensioni, scuola, sanità e servizi sociali». C’era anche Pietro Ricca, quello che inalberò contro Berlusconi il cartello «Fatti processare, buffone» e che poi fu assolto. Ha gridato anche ieri sera.
• Berlusconi è venuto?
No, ma c’era Veronica con Luigi, il figlio più piccolo. Le hanno chiesto: «E suo marito?». «Non lo so. Chiedetelo a lui». Lei non è la moglie? «Non sono tra le fortunate che sanno quello che fa il marito». Non c’era nemmeno Napolitano.
• Ma la prima della Scala è veramente la più importante del mondo? E se sì, perché?
Ma è la Scala che è importante, innanzi tutto. Al mondo ci sono altri teatri lirici di prima grandezza, per esempio il Metropolitan di New York o il Covent Garden di Londra. Ma nessuno ha il curriculum - per dir così - della Scala. Qui sono andate in scena un mucchio di prime assolute: La gazza ladra di Rossini, Norma di Bellini, Nabucco, Otello e Falstaff di Verdi, Gioconda di Ponchielli, Madama Butterfly e Turandot di Puccini. La Scala venne bombardata nella notte tra il 15 e il 16 agosto del 1943 e, appena rimosse le macerie e sistemato un po’ il tetto, ci suonarono la Quinta di Bruckner e l’ouverture del Coriolano di Beethoven, a cielo aperto e con sedie qualunque su cui sedettero numerosissimi gli spettatori. Nel ”46, col famoso concerto dell’11 maggio, Toscanini annunciò non solo ai milanesi, ma a tutto il Paese che la guerra era finita e bisognava ricominciare. Disse anche che l’acustica era perfetta, «identica a quella di prima». Non era vero, ma bisognava, appunto, ricominciare. E quella bugia, detta alla Scala, ci aiutò a farci coraggio. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 8/12/2008]
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