Giornali Vari, 8 dicembre 2008
Anno V - Duecentoquarantanovesima settimanaDal 1° all’8 dicembre 2008Giudici Il lettore ricorderà un giudice che si chiamava (e si chiama) Luigi De Magistris
Anno V - Duecentoquarantanovesima settimana
Dal 1° all’8 dicembre 2008
Giudici Il lettore ricorderà un giudice che si chiamava (e si chiama) Luigi De Magistris. Apparve da Santoro e denunciò le angherie a cui era sottoposto da alcuni suoi superiori e da alcuni politici potenti che volevano impedirgli certe indagini. Si trattava delle inchieste note come Why not, Poseidone e Toghe lucane, un guazzabuglio che non ci azzardiamo neanche a spiegare e che consisteva più o meno in una presunta consorteria, anche massonica, che a Catanzaro, dove il sostituto procuratore operava, si faceva arrivare denari dall’Europa e poi se li spartiva. Tutto assolutamente da provare, si capisce. In ogni caso, a un certo punto De Magistris mette in mezzo Prodi, che in quel momento è presidente del Consiglio, e Mastella, che in quel momento è ministro della Giustizia. Gli tolgono quindi in sequenza tutte le indagini e lo trasferiscono a Napoli. Prima di lasciare Catanzaro, però, il nostro sostituto – che discende da un’antica famiglia di giudici e si porta molto bene i suoi 41 anni – spedisce i fascicoli delle sue inchieste alla Procura di Salerno, col sottinteso che nelle presunte persecuzioni a cui è sottoposto vi sia materia penale. Le procure sono infatti organizzate così: che ognuna ha una procura madre a cui eventualmente risponde dei reati in cui si trovassero coinvolti lei stessa o i suoi giudici. Per esempio, i guai combinati da qualche magistrato di Milano sarebbero esaminati da Brescia, quelli di Roma da Perugia, quelli di Salerno da Napoli e quelli di Catanzaro, appunto, da Salerno. La Procura di Salerno, quindi, allertata da De Magistris, non resta con le mani in mano: chiede ufficialmente a Catanzaro certi atti e poiché la Procura di Catanzaro fa finta di non sentire, manda i carabinieri a fare perquisizioni in modi – a quanto dicono quelli di Catanzaro – anche impropri. I giudici calabresi sarebbero infatti stati perquisiti personalmente e uno di loro, sorpreso in casa all’alba, persino costretto a denudarsi. Catanzaro reagisce a quello che ritiene un sopruso mandando a sua volta sette avvisi di garanzia ai giudici di Salerno. In questi avvisi li accusa di abuso di atti d’ufficio e interruzione di pubblico servizio: con la sua iniziativa, infatti, Salerno ha impedito a Catanzaro di lavorare. Un caso del genere non s’era mai visto prima, e cioè di una Procura contro l’altra e di una battaglia combattuta a suon di perquisizioni e avvisi di garanzia incrociati. Come potrebbe finire una guerra simile se continuasse? I giudici si arresterebbero a vicenda? E poi si interrogherebbero in cella essendo tutti nello stesso tempo carcerati e carcerieri? E come si svolgerebbe, eventualmente, il processo e quali giudici giudicherebbero chi? Poiché l’organo di autogoverno dei giudici, cioè il Consiglio Superiore della Magistratura, cioè il Csm, ad onta dell’enormità del caso, fa finta di non vedere, di non sentire e di non sapere, è lo stesso presidente della Repubblica che deve intervenire chiedendo ufficialmente prima a Salerno e poi a Catanzaro i fascicoli dell’intera vicenda. La lettera scritta, a nome di Napolitano, dal segretario del Quirinale è durissima, i giornali ne parlano sulle prime pagine di venerdì 5 dicembre e il Csm, a quel punto, si affretta finalmente a far la parte che gli compete: convoca a Roma i due procuratori generali (si chiamano Luigi Apicella quello di Salerno e Enzo Jannelli quello di Catanzaro) e avvia le procedure di trasferimento per entrambi con voto unanime. Il caso naturalmente non è affatto chiuso e la magistratura, in quanto corpo dello Stato formato da persone che dovrebbero essere affidabilissime, ne esce a pezzi. Una soluzione impossibile, ma che ci sarebbe piaciuto vedere, sarebbe stata di trasferire, da domani, il Procuratore di Salerno a Catanzaro e quello di Catanzaro a Salerno, tanto per ribadire che la giustizia è una sola e le Procure non sono squadre di calcio.
Partito democratico La deprimente partita Salerno-Catanzaro è stata giocata proprio mentre è in corso l’esplosione di un caso-Napoli. Qui uomini di destra e di sinistra, ma con la massima responsabilità politica finale della sinistra, che governa in queste zone da poco meno di vent’anni, avrebbero fatto del malaffare il loro sistema normale di vita. Non era difficile da immaginare, data la situazione descritta in Gomorra e la tragedia dei rifiuti a cui tutto il mondo ha assistito. Ma stavolta i magistrati di Napoli avrebbero messo le mani sulla storia di un appalto da 400 milioni, relativo alla manutenzione delle strade, che sarebbe stato affidato con un concorso pilotato a un unico imprenditore. Vere o false che siano le voci, e giuste o sbagliate che siano le ipotesi degli inquirenti, la storia ha già provocato il suicidio di Giorgio Nugnes, 48 anni, ex assessore comunale alla Protezione civile, incarcerato a suo tempo con l’accusa di aver orchestrato la protesta di Pianura contro la discarica. Ci si attende adesso una vera e propria retata di uomini pubblici, al punto che Veltroni ha chiesto a Bassolino di dimettersi (la risposta è stata ”no”) e alla Jervolino di azzerare la sua giunta (anche qui la risposta è più ”no” che ”sì”). La questione napoletana s’è aggiunta alla questione fiorentina che a sua volta segue il caso abruzzese dove il presidente Del Turco la scorsa estate fu messo dentro per faccende legate al pagamento di tangenti nella sanità (in Abruzzo si vota, a causa di questo, domenica prossima). Esiste dunque una questione morale dentro il Pd che intorbida ulteriormente le guerre che dilaniano quel partito, dalemiani contro verltroniani, antiberlusconiani di ferro contro fautori del dialogo, cattolici contro post-marxisti eccetera. Berlusconi, che ha perso tre punti per la faccenda dell’Iva di Sky aumentata, si consola facilmente guardando i sondaggi che concernono il Pd. Sarebbe sceso al 28% e la caduta di consensi, di cui gode soprattutto Di Pietro, non avrebbe l’aria di arrestarsi.
Crisi La Bce ha tagliato il tasso di sconto di 75 punti, un intervento di proporzioni mai viste prima. Significa che il primo denaro prestato da Francoforte alle banche paga un tasso di appena il 2,5%. La decisione, presa giovedì 4, nello stesso giorno in cui anche gli svedesi e gli inglesi abbassavano il loro interesse, non ha frenato la caduta delle Borse, precipitate ventiquattr’ore dopo più o meno di 4 o 5 punti in tutto il mondo. Gli americani avevano infatti diffuso dati di novembre tremendi: in un solo mese si erano persi 533 mila posti di lavoro. La media dei posti di lavoro persi negli ultimi tre mesi risultava di 419 mila licenziamenti ogni trenta giorni. Nel periodo gennaio-agosto questa media era di 82.000 licenziati, cinque volte di meno. Il pil del terzo trimestre Usa era intanto sceso di mezzo punto. L’America cioè si trovava nel terzo trimestre e si trova adesso in piena recessione: le case automobilistiche di Detroit falliranno se non riceveranno questa settimana 34 miliardi che consentiranno loro, peraltro, di restare in piedi solo fino a febbraio. Annunciando un piano di lavori pubblici che dovrebbe creare due milioni di posti di lavoro (piano che si direbbe del tutto destituito di fondamento), il neopresidente Obama ha anche dichiarato che la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente «prima di migliorare».
Scala Prima della Scala, lo scorso 7 dicembre, con qualche patema anche quest’anno. Gruppi di contestatori sulla piazza, abiti dimessi delle signore (in linea con la Crisi), problemi col tenore calabrese Filanoti, ritenuto all’ultimo minuto inadeguato al Don Carlo di Verdi e sostituito in tutta fretta dal ciccione americano Stuart Neill. Qualche fischio per il direttore milanese Daniele Gatti alla fine del primo tempo, poi applausi e polemiche.