1861-2012
E l’Italia tremò
6 aprile 2009
Il terremoto dell’Aquila
6 aprile 2009
Il terremoto dell’Aquila
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Tremonti sta pensando a un terzo scudo fiscale, da realizzare magari in accordo con l’Unione Europea, visto che la Ue è diventata tanto sensibile al problema dei paradisi…
• Stiamo parlando di tasse, no? Ma il resto del discorso non è che l’ho capito molto...
Si chiama «scudo fiscale» un provvedimento che permette a chi ha soldi all’estero di farli rientrare in Italia senza passare guai, e pagando una piccola ammenda in percentuale. Lo Stato, incassata l’ammenda, si impegna a non far domande: tu puoi avere i soldi all’estero perché hai evaso il fisco o perché ti sei fatto pagare all’estero una tangente (il cosiddetto «estero su estero», normale per la corruzione in campo petrolifero o nel traffico d’armi, tutti campi in cui l’altra parte è straniera) o magari sei un criminale che manda all’estero attraverso false fatturazioni i soldi delle estorsioni o dello spaccio di droga...
• Lei fa questi elenchi con noncuranza, è tutta roba che fa proprio schifo...
Lo so. Il problema è che gli italiani hanno all’estero in questo momento 550 miliardi, cioè un terzo del debito pubblico. Sarebbe bello far la guerra ai Paesi che custodiscono questi soldi e sono quindi complici. Andare lì con i soldati, sbattere dentro tutti, sequestrare i soldi a tutti questi che fregano, abbattere il nostro indebitamento, liberare risorse per dare lavoro a tutti... Bello, ma non ho bisogno di spiegare che non si può fare.
• Stava dicendo dello scudo fiscale.
Sì. Tremonti ha fatto ricorso allo scudo due volte, nel 2001 e nel 2003. Chi riportava i soldi in Italia lasciava al fisco il 2,5% della somma. Risultati non disprezzabili: tornarono 78 miliardi e le percentuali dicono come gli italiani piazzano i loro capitali neri nel mondo: il 58% dei soldi rientrò dalla Svizzera, il 14% dal Lussemburgo, il 10% dalla Germania. Lo Stato mise in cassa quasi due miliardi. Ora c’è una nuova sensibilità nei confronti dei paradisi fiscali, sensibilità di cui si è avuta consapevolezza al G20 londinese dell’altro giorno. Gli europei, nonostante le resistenze cinesi dovute ai casi di Hong Kong e Macao, hanno ottenuto un impegno planetario contro questi paradisi. I paradisi fiscali sono una quarantina e quello che gli Stati-vittima vorrebbero è la trasparenza: quando io Italia chiedo a te banca delle isole Cayman chi sono gli italiani che hanno un conto da te, tu me lo devi dire. Nel momento in cui accetti questo, cessi di essere un paradiso fiscale.
• Non accetterà nessuno.
San Marino sta accettando. La banca svizzera Ubs è stata costretta a passare al Tesoro Usa i nomi di 750 correntisti americani: il Tesoro aveva spiegato che, in caso contrario, il governo le avrebbe ritirato la licenza. C’è stato poi il caso del Liechtenstein, una cui banca venne smascherata un anno fa da segugi tedeschi (dei 4.500 clienti beccati, 390 erano italiani). Insomma qualche incrinatura c’è stata. E il momento appare piuttosto favorevole. Per due ragioni. La prima è la crisi. Tutti i Paesi hanno bisogno di risorse e la pratica di piazzare i soldi nei paradisi fiscali per non avere fastidi dal fisco ha prodotto ormai numeri impressionanti. La somma che i ricchi di tutto il mondo hanno inguattato in Jersey, Lussemburgo, Svizzera, Londra eccetera ammonta a 11.500 miliardi di dollari, con una perdita secca annuale per gli Stati di tutto il pianeta pari a 250 miliardi. I paradisi coprono inoltre attività criminali per 1000-1600 miliardi di dollari l’anno (dati della Banca Mondiale). La beneficenza verso i Paesi poveri aiuta a stornare altro denaro: per ogni dollaro effettivamente consegnato ai bisognosi, altri 58 svaniscono nel nulla. Dagli anni Settanta ad oggi il numero dei paradisi fiscali è triplicato. Forse siamo arrivati al culmine e una correzione sarà inevitabile.
• E la seconda ragione?
La seconda ragione per cui i tempi potrebbero essere favorevoli è molto maliziosa. Quando i potenti della Terra si fanno così sensibili nei confronti dell’evasione fiscale e dei paradisi terrestri, gatta ci cova. Perché, naturalmente, noi sappiamo bene che i ricchi e i potenti – qualunque cosa dicano nei loro comizi – sono grandi amici. Se dunque i potenti si sono messi in testa di fare qualche dispetto ai ricchi, deve esserci qualche convenienza anche per i ricchi. E in effetti, qualche convenienza c’è. Le banche dove questi furboni hanno messo i loro soldi non sono infatti più sicure come un tempo. Con quanti titoli tossici hanno giocato a Singapore o nel Delaware? Non si sa. E se poi qualche istituto di questi salta per aria? Se invece che al fisco i denari finissero nel nulla? più prudente rientrare, no?, almeno momentaneamente. Pagando naturalmente il meno possibile di multa... [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 6/4/2009]
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