Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Un cuore artificiale permanente è stato innestato giovedì scorso, per la prima volta al mondo, nel petto di un ragazzo di quindici anni, di cui sono state rese note le iniziali, N.B. Non si tratta del primo cuore artificiale permanente impiantato in assoluto, ma del primo impiantato in un ragazzino. L’intervento, durato dieci ore (dalle 8 alle 18), è stato eseguito all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma dall’équipe di cardiochirurgia guidata dal professor Antonio Amodeo. Il ragazzo, costretto sulla sedia a rotelle, affetto da una malattia muscolare che ne impediva l’iscrizione nella lista di attesa dei trapianti di cuore (aveva in realtà pochi giorni di vita), si è svegliato venerdì mattina. Le sue prime parole, per telefono, alla madre: «Mamma non disturbarmi, mi sto lavando i denti». Il giovane resterà in prognosi riservata per almeno una o due settimane ma le sue condizioni, a detta dei medici, sono buone.
• Ma c’è speranza col cuore artificiale?
Di solito si usa come soluzione temporanea, in grado cioè di aiutare il malato in attesa di un cuore compatibile per il trapianto.
• È una macchina, no? Com’è fatta?
Nel caso di N.B. si tratta di un apparecchieto lungo quattro centimetri, che pesa quattro etti. È stato inserito nel ventricolo sinistro. In pratica è una pompa attivata elettricamente, piazzata dentro il torace. L’alimentazione è garantita da uno spinotto collocato dietro l’orecchio sinistro e collegato alla batteria che il paziente porta alla cintura. Il dottor Amodeo ha spiegato che la batteria si può ricaricare durante la notte, come si fa con i cellulari. Un altro punto importante è che si tratta di un congegno più piccolo di quello usato all’ospedale San Camillo lo scorso giugno: in quel caso il cuore artificiale era stato innestato come ponte (cioè in attesa di un trapianto) a Liu Jing He, un sudcoreano di 44 anni. Francesco Musumeci, il primario di cardiochirurgia che guidò quell’équipe, spiega: «Sostituimmo entrambi i ventricoli con due piccole pompe in titanio. Gli apparecchi erano grandi come mezzo pacchetto di sigarette. Pesavano 150 grammi ciascuno ed erano – sono - alimentati, attraverso un cavetto, da batterie esterne, simili a due videocassette vhs. Otto ore di autonomia, poi si ricaricano». Il cuore in pratica venne «disattivato» e usato come una sacca: le pompe spingono il sangue prima nei polmoni per ossigenarlo e poi lo mandano in circolo, dalla testa ai piedi.
• Quanto si può sopravvivere in questo modo?
I medici del Bambin Gesù hanno detto che con la loro macchinetta N.B. può campare 20-25 anni. Noi abbiamo telefonato al professor Francesco Romeo, presidente della Federazione italiana di cardiologia e direttore del Dipartimento di cardiologia del Policlino di Tor Vergata che, sul punto, è parecchio più prudente. «I chirurghi del Bambin Gesù non hanno sostituito il cuore del ragazzo in toto, ma hanno impiantato un sistema di assistenza meccanica nel ventricolo sinistro. Non conosco nel dettaglio la tecnica usata al Bambin Gesù perché i medici hanno lavorato nel più stretto riserbo ma di solito gli impianti che supportano il cuore garantiscono una sopravvivenza di due o tre anni (per questo si usano in genere solo come ponte, in attesa del trapianto di cuore). Nel caso di un ragazzo di 15 anni due-tre anni di vita non sono una bella prospettiva. Senza contare che l’apparecchio è controllato da una batteria esterna e dunque la qualità della vita, specie a quell’età, è seriamente compromessa».
• I trapianti da cadavere non sono una soluzione sufficiente? Che bisogno c’è di ricorrere a un cuore artificiale?
In Italia ci sono 700 malati in lista per un cuore nuovo e in media l’attesa dura due anni: il 10 per cento dei pazienti muore aspettando l’ operazione. Il cuore artificiale risolverebbe alla radice il problema. Naturalmente, spiega il professor Romeo, «l’obiettivo è creare un cuore totalmente artificiale che garantisca ai pazienti un’aspettativa di vita più lunga rispetto a quella offerta dagli apparecchi attuali, ma questo risultato non sarà raggiunto in tempi brevi. Innanzitutto ci sono problemi di alimentazione e poi il cuore, che sembra una macchina molto semplice, è in realtà un laboratorio biologico complesso, difficile da riprodurre con plastica e titanio».
• E un cuore fatto di tessuto umano non si potrebbe costruire?
Robert Lanza, vicepresidente dell’Advanced Cell Technology di Worcester (Massachusetts), già salita agli onori della cronaca per i suoi progetti sulla clonazione umana, ha dichiarato che in una decina d’anni la sua équipe sarà in grado di produrre un cuore artificiale biologico di tessuto umano rigenerato grazie a cellule staminali del paziente stesso. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 3/10/2010]
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